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Il locale, di tono è elegantemente sobrio, dal design contemporaneo dell’architetto Carlo Samarati, senza nessun riferimento all’arredo stereotipato dei ristoranti cinesi trapiantati in Occidente. Il ristorante si sviluppa in più sale con un corridoio che costeggia la cucina a vista dove campeggiano torri di cestelli di bambu. Il servizio è attento, professionale. La carta lascia ampio spazio ai dim sum, ma non mancano portate di pasta, pesce, cerne e verdure. Ne troverete alle cappesante, ai gamberi. al king crab, alla carne mielata… nelle forme più svariate, dai fagottini alle polpettine, sempre caratterizzati da un tocco delicato quasi a smentire la falsa nomea di una cucina cinese (in questo caso cantonese) greve e indigesta.

Si può cominciare con gli jiaozi e gli shao mai, ravioli di pasta fresca a base di farina di grano tenero e riso, preparati bolliti, al vapore o saltati alla piastra. Dolce e leggero è lo shao mai, il raviolo aperto preparto al vapore con ripieno di gamberi. Con la sfoglia delle tagliatelle di riso sono qui proposti mini cannelloni ripieni di puntine di maiale. Da non perdere le polpette, yu yuan di pesce, rou yuan di carne; non mancano suggestioni fusion come l’involtino di speck con funghi. Interessanti anche gli altri piatti in carta, con una capacità di equilibrare le salse veramente rara. Per non dire del fritto, leggero, aereo e delicato. Per chi ama le bollicine qui potrà sostituire la tazza di tè con un calice di Champagne, e non a caso; infatti la Perrier-Jouët, reputata casa champagnistica ha conferito al Dum Sum il titolo di Maison Recommandée.

Quindi dopo Hong Kong, New York, Londra, Parigi, città in cui i dim sum impazzano, oggi anche a Milano si può trovare un ristorante specializzato in tal senso.

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