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Gli italiani che vivono nei paesi anglofoni (e più in generale all’estero) lo sanno; con il tempo la loro lingua si corrompe arricchendosi di termini stranieri così da non essere più propriamente italiana, bensì italianese, ossia , come recita il dizionario Treccani, quell’italiano ibrido derivato dalla commistione di elementi lessicali penetrati nell’italiano dall’inglese. Non si tratta di una scelta, ma di un “cedimento” della propria madre lingua quasi fisiologico, che non suscita certo stupore. Stupisce invece quando l’italianese è parlato da italiani nel Bel Paese.

Sicuramente nell’ambito informatico è una necessità utilizzare vocaboli inglesi, perché questi fanno parte di un linguaggio e non c’è ostentazione nell’impiegarli. Ma si tratta di un’eccezione. Va detto che l’impiego sistematico di termini inglesi è un fenomeno unicamente italiano. La ricerca del termine straniero, di un paese che a ragione o a torto si ritiene più qualificato del proprio, è tipica di una cultura permeata da sensi di inferiorità.

Capita talvolta di sentire, a conferenze tenute da relatori di lingua inglese con interprete, qualcuno del pubblico intervenire in inglese: ciò accade per una forma di ospitalità o di piaggeria? Non succede in Francia perché i francesi sono inospitali, o perché non hanno sviluppato sindromi di sudditanza?

E’ che il termine inglese come per incanto sa far luccicare ciò che è opaco: servirsi di cibi con le mani è inadeguato, ma se gli stessi cibi li chiamiamo finger food, è brillante farlo; mangiare per strada non è principesco, ma se si tratta di street food allora è molto snob, e poi l’autoscatto, che era proprio di chi non aveva nessuno che lo fotografasse, diventato selfie si fa circolare rivendicandolo. Quando mai e poi mai si era sentita l’esigenza di citare il profilo o il panorama milanese prima di chiamarlo skyline? Come è stato definito il nuovo presidente statunitense dalla stampa? Forse magnate? No, tycoon. E se lo spritz (termine non inglese, ma neppure italiano) si chiamasse bianco spruzzato, quasi certamente non avrebbe uguale successo. E’ come se utilizzando un significante straniero, il significato stesso della parola cambiasse.

L’esempio istituzionale non conforta considerato che welfare, jobs act, election day sono entrati nel linguaggio corrente.

Come dire, ci sono giovani che per apparire “fighi” si costruiscono un’immagine, pardon un look basato su taglio di capelli, postura, abbigliamento, gestualità, denunciando inconsapevolmente uno stato sociale (estrazione sociale, scolarizzazione, tipo di lavoro…) modesto. Analogamente ci sono italiani in patria che per apparire cosmopoliti ostentano l’italianese, rivelando il proprio provincialismo. Ah, les italiens.

 

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