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Diego Galdino, autore di “L’ultimo caffè delle sera” (Sperling & Kupfer editore), è uno scrittore un po’ speciale: innanzitutto ha sempre lavorato nel locale del padre, Lino Bar, nel quartiere Aurelio di Roma, a un chilometro da piazza San Pietro. E poi, nonostante le ore spese al bancone, non ama più di tanto l’espresso in tazzina, che preferisce nel gelato o in un buon tiramisù. Diego Galdino, lo scrittore-barista, è oggi nelle librerie con il suo quinto romanzo, il sequel di “Il primo caffè del mattino”, con cui ha esordito 5 anni fa. Nel frattempo ha avuto un successo straordinario (i suoi libri sono stati tradotti in Germania, Austria e Svizzera, Polonia, Bulgaria, etc etc), al punto che qualcuno l’ha definito il Nicholas Sparks italiano. Libri, personaggi, caffè, bar, www.goodmood.it non si è lasciata sfuggire cero sfuggire l’occasione di intervistarlo.

 

Diego Galdino, quanto autobiografico è il suo ultimo romanzo?
Moltissimo, è il più autobiografico dei cinque che ho scritto. È ambientato nel bar Tiberi, che corrisponde al mio e anche i personaggi che descrivo sono molto legati alla mia storia; in questi ultimi anni ho perso un grande amico e purtroppo mio padre si è ammalato e sono rimasto solo. Volevo rendere omaggio a queste persone e poterle ricordare con una serie di aneddoti; il sequel è stato una mia necessità.

 

Il caffè Tiberi del romanzo è un luogo della memoria, della fantasia, un sogno ancora da realizzare?
In realtà ho “trasferito” il mio locale nel rione Trastevere e gli ho dato un altro nome, perché quella zona è una delle più antiche e leggendarie della città.

 

Come si concilia il lavoro del barista con quello dello scrittore?
Bene, direi. Lo scrivere è andato oltre le mie aspettative. Pensi che alcune persone che vengono a Roma, in vacanza, vengono a trovarmi nel mio bar per bere una tazzina di caffè o per farsi una fotografia. Sono più che soddisfatto!

 

Mi scusi, ma qual è il segreto per un buon caffè?
Il segreto è un mix di requisiti: la miscela di qualità, la manutenzione quotidiana della macchina, la macinatura dei chicchi. E poi sicuramente la tazzina calda che aiuta a sprigionare gli aromi della bevanda. In realtà c’è un altro ingrediente fondamentale: l’amore per questo mestiere, la passione. Io vivo nel mio bar da sempre e ci lavoro da quando avevo quindici anni.

 

Oltre ai caffè cosa propone ai suoi clienti?
Ovviamente i cornetti, nella colazione tipica del romano non possono mancare e poi i tramezzini. In realtà, l’evoluzione del figura professionale del barista va di pari passo con tutte le intolleranze alimentari dei clienti, a partire da tutte le alternative al latte vaccino che si devono avere a disposizione.

 

Mi scusi, ma cosa rende “speciale” il suo bar rispetto a tanti altri?
A Roma, di bar come il mio ce ne sono pochi. Assomiglia a un locale della Roma di quartiere, ha presente il film “Poveri ma belli”? Siamo a due passi dal centro ma qui ci si conosce tutti, ci si aiuta e il bar è un luogo speciale di ritrovo.

 

Ci sarà un terzo capitolo dedicato al bar e al caffè?
Non credo proprio, ho chiuso un cerchio. Ora voglio dedicarmi ai romanzi d’amore, dove il protagonista è il sentimento.

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