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La cucina del fuoco in qualche modo ci ha sempre affascinato anche perché, nella sua semplicità, non ammette errori. E Milano 37 Restaurant era una reputata griglieria a vocazione carnivora. “Era” non perché abbia smesso l’attività, ma in quanto ha cambiato la propria filosofia culinaria, senza però abbandonare il fuoco come tecnica culinaria portante.

 

Innanzitutto la squadra: lo Chef Carlo Andrea Pantaleo, vorremmo chiamarlo maestro di griglia; il Patron, nonché padre di Carlo Andrea, Luigi Pantaleo; il Maître Enrico Rizzo e il Direttore Creativo Food & Beverage Gennaro Vitto.

 

Lo chef con grande padronanza e disinvoltura utilizza il fuoco per preparare piatti vegetariani e di pesce e solo secondariamente di carne, ribaltando quindi l’impostazione che aveva caratterizzato il ristorante precedentemente. Abbiamo voluto chiamare Carlo Andra Pantaleo maestro di griglia dopo aver sperimentato la sua capacità di dosare le cotture non solo per durata, ma anche per intensità. Gli ortaggi utilizzati provengono in buona parte dall’orto attiguo, curato dallo chef stesso, dove coltiva un’ampia gamma di aromatiche come erba pepe, santoreggia di montagna, cerfoglio, stelvia da zucchero, origano cinese, verbena, timo limone, aneto, cinque varietà di basilico e via elencando.
Ciò per dare rilevanza anche alla sostenibilità che è un punto di riferimento di Milano 37.

 

Da dove cominciare? Dal benvenuto dello Chef (foto 1). Una piccola collezione di assaggi: Spuma di patate alla brace, polvere di cappero e chips di fregola soffiata; Chips di cavolo nero, con burrata e paprika; Tentacolo di piovra alla brace, con marmellata di limoni e maionese alla soia; Sarda alla beccafico glassata con salsa teriyaki, tutto da gustare il religioso silenzio nell’ordine indicato dove non si cade mai nel banale e con una sarda al beccafico che invita, ma non solo lei, a ordinarne un intero piatto.

 

Poi comincia la sfilata.

 

Melanzana cotta al carbone, cipolline borettane in agro, pane croccante, con concentrato di pomodoro (foto 2).

Le cipolline borretane agrodolci sono anch’esse passate sui carboni, e la polvere di olio al basilico richiama il formaggio grattugiato utilizzato nella parmigiana tradizionale. Lo chef insiste sull’importanza di valorizzare gli ingredienti anche poveri, come quelli della parmigiana.
La cottura alla brace della melanzana, ne concentra il sapore facendone la protagonista, non solo per il gusto che dà il timbro al piatto, ma per la morbidezza quasi cremosa. Gli altri ingredienti completano la preparazione anche con giochi di consistenza grazie alle cialde.

 

Calamaro cotto alla brace con gazpacho, olive della Riviera Ligure, olio al prezzemolo (foto 3).
Il calamaro risulta tenero, dal sapore “dolce” ben abbinato al fresco gazpacho che duetta con l’olio extra vergine d’oliva il quale vira sulla dolcezza, anziché sulle note polifenoliche. L’insieme è di grande equilibrio, tecnicamente armonico.

Spaghetto “Pastificio Manta”, aglio, olio e peperoncino, fior di latte e gambero crudo di Mazara (foto 4).
La crema di aglio che condisce la pasta è ottenuta dall’aglio privato del germe, portato più volte in ebollizione, cotto in latte e panna per circa 4-5 ore così da togliere qualsiasi nota pungente e aggressiva, e per esaltarne, piuttosto, la dolcezza; è il protagonista della salsa cremosa che condisce la pasta cui si aggiungono gli altri ingredienti; notevole la dolcezza dei gamberi che porta il gusto ad allargarsi su sfumature di dolcezza.

 

Maialino, paprika, erbe amare e ricci di mare (foto 5).
Il maialino, il solo piatto di carne del nostro menu, ovviamente cotto alla brace, è accompagnato da due salse, una di erbe amare, l’altra di ricci di mare. Si può degustare la carne passandola ora nell’una ora nell’altra sala, ma il consiglio è di mescolarle perché così facendo ne originano una nuova di grande equilibrio dove le note più amaricanti si stemperano. In ogni caso il sapore umami, vagamente iodato del riccio, fornisce una sorprendente complessità al sapore del piatto allungandone la persistenza.

 

È stata poi la volta della pasticceria scandita da Pre-dessert: gelato alla nocciola, terra al cioccolato, nocciola sabbiata, liquirizia e timo limone

 

Per dessert Ananas caramellato, vaniglia, cocco e gelato alla salvia (foto 6), che riproduce il piacevole nonché esotico sapore della piña colada accompagnata dal refrigerante del gelato.

 

E infine con il caffè piccola pasticceria: gelato al basilico (b. greco, b. limone, b. thailandese, b. genovese e b. lattuga), panna cotta al pistacchio su un frollino, tartelletta con crema pasticcera e frutti rossi, marshmallow lievemente abbrustolito al momento tanto per ricordare il valore dell’orto.

 

Conclusione
Quindi? Cosa dire di questa cucina. È poliedrica, è una cucina che spazia. Considerarla solo del fuoco non è esaustivo. Se ne coglie l’ampiezza dall’elaborazione delle salse, dall’utilizzo di ingredienti che forniscono pennellate dall’accento internazionale ad alcuni piatti, dal costante equilibrio del rapporto acidità – morbidezza cui si uniscono talvolta calibrate note umami.

 

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