Il Gorgonzola è il Re dei formaggi erborinati i quali oggi vengono definiti con il nome più internazionale di Blue Cheese, un vero orgoglio nazionale visto che si piazza al secondo posto fra i 10 formaggi italiani più famosi nel mondo. Viene prodotto da disciplinare in due versioni; dolce e piccante, le forme vendute annualmente sfiorano i 4.500.000 in totale e il trend è in crescita costante, si tratta del Gorgonzola Dop.
Il disciplinare di produzione stabilisce l’area della Dop nelle regioni Piemonte e Lombardia e, nell’ultimo secolo, la provincia di Novara è diventata la principale produttrice così, per conoscere i segreti della lavorazione di questa delizia, sono andata proprio in provincia di Novara, al Caseificio Si Invernizzi di Trecate che produce una media di 450/500 forme di Blue Cheese al giorno.
L’azienda è di proprietà della famiglia Invernizzi da 4 generazioni con una precedente sede a Galliate e, fino al 2008, si occupava solo di stagionatura poi, con l’attuale stabilimento a Trecate si è dato avvio al caseificio completo che oggi impiega circa 50 dipendenti.
Ma quali sono le fasi che portano il latte fresco a diventare una forma di Gorgonzola Dop, attraverso un ciclo produttivo complesso, nel quale intervengono molti fattori: la muffa, i lieviti, le temperature, le lavorazioni?
Da Si Invernizzi il latte arriva ogni giorno di prima mattina, viene pastorizzato in 11 caldaie da 700 litri (foto 2) l’una tutte monitorate con il computer, è sottoposto a severi controlli nel laboratorio interno e in quello esterno, quindi verrà lavorato il giorno successivo.
La prima fase consiste nell’addizionare il latte con il fermento che viene prodotto all’interno del caseificio coltivando una madre propria. E’ importante sapere che c’è un fermento per fare il piccante e ce n’è uno per fare il dolce e la diversità del fermento definisce la curva di acidificazione. In seguito la differenza fra i due tipi di Gorgonzola Dop sarà data dalla lavorazione e dalla stagionatura; ad esempio la cagliata per il dolce sarà rotta in frammenti più grossi, mentre per il piccante in frammenti molto più piccoli, questo per favorire l’uscita dell’acqua dal prodotto piccante che è più duro ed asciutto.
Oltre ai fermenti, vengono aggiunti a mano il caglio, le muffe e i lieviti per far coagulare il latte e dopo circa mezz’ora si procede con la rottura della cagliata, mescolando per separare il coagulo dal siero. Anticamente il processo veniva fatto a mano, ora è robotizzato ma sempre con movimenti molto lenti e dolci per non stressare la cagliata che viene quindi versata su tavoli in acciaio dove rimane per 45 minuti a riposo (foto 3) poi è pronta per essere insaccata in cilindri di plastica forati dove, per effetto del peso e della gravità, si compatterà perdendo acqua e siero.
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Articolo di: Clara Mennella