Mu Fish è un ristorante di cucina orientale con due anime, una cinese e una giapponese. E’ un ristorante fusion, ma non nell’accezione impropria utilizzata per definire alcuni ristoranti cino-giappo in cui la “con-fusione” delle due componenti si concreta spesso in una cucina “tipo giapponese” mal eseguita. Qui intendiamo fusion nel significato più colto.
Mu Fish si trova in Brianza, in un loft spazioso ricavato dalla ristrutturazione di un capannone industriale dismesso, in cui spiccano pietra e legno, dotato di ampie vetrate e di un proprio parcheggio. Gli spazi ricordano, più in grande, quelli di Mu Dimsum, il ristorante fratello milanese specializzato nella cucina di Hong Kong, di cui abbiamo detto qui. Entrando nel locale ci troviamo di fronte alla barra sushi bar e al cocktail-bar (foto 2-3 video 4), entrambi con sedute, che costituiscono, insieme all’adiacente cucina a vista, il cuore dell’ampia sala la quale da un lato comunica con la sala tatami dalle tradizionali sedute basse (foto 5). All’ingresso si è accolti da personale di sala professionale e cortese, capace di “coccolare” il cliente per tutta la serata. Seduti al tavolo consultando la carta dei Mu Drink, si coglie un mood molto milanese dato sia dalla presenza di cocktail classici rivisitati in chiave contemporanea dall’accento giapponese, sia dal loro servizio al tavolo per accompagnare la cena, in alternativa al vino.
La cantina di Mu Fish conta circa duecento referenze con produzioni di nicchia, presieduta dal sommelier William Franco molto disponibile, se il cliente vuole, a suggerire il vino giusto in base ai piatti scelti e, ovviamente, alle preferenze espresse. Basterà dire che alla richiesta di bollicine ci ha proposto un onestissimo X.T. Extra Brut Valle d’Aosta della Cave Mont Blanc de Morgex et de La Salle, fragrante come il profumo di crosta di pane appena sfornato che riproduce, sapido e agrumato. Nella carta si colgono due stili, uno cino-cantonese e uno giapponese entrambi contemporanei.
Volendo banalizzare da un lato i dimsum dall’altro i sushi, che però esauriscono solo parzialmente la proposta gastronomica del ristorante. Come dicevamo piatti fusion, non pasticciati.
Le “due cucine” del ristorante si fondano su altrettante esperienze interpretate dai due chef Jang e Kim. Il primo conta su un’esperienza al Finger’s di Roberto Okabe durata otto anni, dove ha approfondito e sviluppato la conoscenza della cucina giapponese contemporanea. Kim, a propria volta, ha lavorato da Ba Asian Mood e da Gong due tra i più reputati ristoranti cinesi di Milano. Grazie a questo background le due anime di Mu Fish sono definite da preparazioni nette, precise, mai spurie. La carta comprende quindi sushi (nigiri, huramaki, gunkan), sashimi, dimsum, tartate, spring roll, carpacci, primi piatti di pasta e di riso, secondi piatti di pesce e di carne e dessert.
Tra le portate che abbiamo provato oltre a dimsum preparati con differenti paste (cristallo, al nero di seppia…) con farce di gamberi, branzino e via elencando (foto 6) abbiamo provato la tartare di salmone in salsa mediterranea con pasta kataifi, maionese giapponese al sesamo, semi di sesamo (foto 7). E’ questo un esempio di piatto fusion che unisce sapori mediterranei, mediorientali, giapponesi. Ogni elemento dà un apporto preciso e la fusione degli ingredienti origina una perfetta armonia: è un piatto leggero, saporito, molto equilibrato.
Il tris dello chef (foto 8) è composto da tre piccoli saggi di cucina, ossia capesante canadesi leggermente scottate con crema besciamella e pasta kataifi; tartare di tonno pinna gialla, con salsa ponzu, uova di pesce volante e a foie gras; millefoglie di tonno pinna gialla, pomodoro San Marzano cotto al forno, sfoglie croccanti su letto di crema di besciamella con burrata.
Si tratta di un percorso gustativo completo, ma anche attento alle consistenze, aspetto fondamentale nella cucina nipponica. Il pitto coinvolge tutti e cinque i gusti: la dolcezza, della capasanta, del pomodoro e della burrata; la sapidità della salsa ponzu grazie alla presenza della salsa di soia; l’acidità data dall’aceto di riso presente nella salsa ponzu e dal pomodoro; la nota amarognola che lascia come persistenza il foie gras e l’umami fornito da foie gras, salsa ponzu, tonno… In merito alle consistenze: la croccantezza delle sfoglie, la cremosità della besciamella, la tenerezza fondente della capasanta, la morbidezza cedevole del tonno e la consistenza quasi schioppettante delle uova di pesce.
Non poteva mancare una portata sushi sashimi (foto 1): uramaki con tartare salmone norvegese coperto con lamelle di mandorle tostate; uramaki con tartare di tonno, cetriolo, peperoncino jalapeno; nigiri di capasanta, con riduzione allo yuzu; nigiri di anguilla caramellata; gunkam gioa di salmone e anguilla; sashimi di tonno, di salmone di gambero rosso di Sicilia. Nulla da dire se non apprezzare il giusto equilibrio tra il riso e l’ingrediente che accompagna, la consistenza del riso stesso e le temperature.
Il piatto che ha chiuso la nostra esperienza al Mu Fish nel migliore dei modi, è stato il Gin Dara (foto 9), merluzzo nero dell’Alaska o carbonaro, o black cod, in due interpretazioni: marinato nel miso agrumato per tre giorni, quindi cotto al forno e servito sulla sua stessa marinatura; in tempura, insolito quanto graditissimo modo di servire il carbonaro. Con Maionese giapponese. In entrambi i csi la morbidezza è quasi fondente: il primo si scosta leggermente da preparazioni analoghe grazie alla nota agrumata mentre la versione tempura, grazie alla croccantezza esterna… è da provare.
I prezzi: una cena di più portate senza bevande vale circa 50 euro; vi sono 2 menu degustazione a 40 e a 60 euro.
Mu Fish
Aperto a pranzo e a cena,
giorno di chiusura lunedì