Arrivare a Genova senza farsi travolgere da questo vento è impossibile, perché ovunque tu sia ti spinge proprio lì, dove ha origine. Ti accompagna dolcemente sul Porto Vecchio, mano nella mano, poi ti spinge sull’ascensore di vetro e in soli 10 secondi non hai più i piedi per terra ma voli sopra il mare, con lui che ormai si è impossessato di te.
E ti ritrovi in un mondo fatto di colori e profumi che sei “obbligata” a percorrere da cima a fondo. Ma lui ti attira, sempre più forte e non ci sono distrazioni che tengano perché lui ti vuole e tu vuoi lui.
E’ una premessa un po’ poetica e romantica, ma c’est moi. Ora però vi dico nomi e cognomi, prima di riperdermi. Siamo a Eataly di Genova, al Marin, ristorante gastronomico guidato da Marco Visciola, che come avete capito prende il nome da un tipo di vento. Manco da 7 anni e sia il ricordo che il desiderio sono molto forti. La compagnia ovviamente fa sempre la differenza, quindi tutto come se fosse la prima volta.
Dicono che non si deve fare la spesa quando si ha fame. Approvo. Qui è facilissimo resistere ad ogni tentazione perché la tua meta è proprio in fondo al negozio e quindi lo attraversi senza accorgerti di nulla, tanto sai che ci sarà un dopo per ripercorrere il tragitto con un carrello.
Arrivati. Il vento si ferma, non prima di averti fatto dolcemente accomodare, e ora è pronto a coccolarti, con freschezza, garbo ed eleganza.
La sala è moderna e luminosa, con un’immensa e splendida vetrata sul mare firmata da Renzo Piano. C’è da perdersi con questa vista sul golfo genovese sottostante! Quindi provi a girarti dalla parte opposta e anche qui lo spettacolo non manca perché la cucina a vista regala l’adrenalina di fuochi e fiamme, preparazioni e impiattamenti, il movimento orchestrale di tutta la brigata e accende il desiderio di assaggiare quanto così amorevolmente preparato. Distrazioni finite? Dipende con chi siete a tavola e quindi se siete seduti vis a vis o fianco a fianco. Pausa di riflessione.
Se qui la cucina è uomo, chef già citato e sous-chef Marco Isola , la sala è assolutamente donna, con Maddalena Profice e Gabriella di Dio. Tutti giovanissimi e con una carica energetica a mille, nonostante il grande impegno richiesto in un contesto del genere. Provate a immaginare cosa succede quando attracca una nave da crociera, magari non in questo periodo!.
Colpisce il sorriso coinvolgente e la voglia di divertire e divertirsi. Carta bianca alla cucina anche per questo motivo. Scelta perfetta. Anche sull’abbinamento è difficile sbagliare, vista la fonte di approvvigionamento e la predilezione per i vini che piacciono a me (triple A e dintorni).
Basterebbe l’inizio per chiudere soddisfatti. E’ un po’ il trend del momento quello di servire amuse bouche da perdere il conto. Quello che si ottiene dipende sempre dal contesto e dalla riuscita dei piatti. Qui sicuramente è un luna park intrigante e sensuale. I finger vanno pensati e fatti per essere mangiati con le mani e in un sol boccone. Obiettivo raggiunto. Bravissimi.
Acciuga ripiena e fritta con salsa al limone, oliva cocktail, cappon magro da passeggio, parfait di zucchine con perle di aceto balsamico, tortelli ripieni di pesto e cono gelato di baccalà.
Seguono i 5 assaggi dagli orti. Conquistata. Sono debole sul tema, lo sapete ormai, anche perché mi fa capire la stoffa di un cuoco. Li ricordo in ordine di preferenza: insalatina di cavolo nero e kiwi, cardo con salsa di acciughe e aglio nero, porro salsa bernese e curry, radicchio crescenza e semi di sesamo, e crema di zucca con semi e cardamomo.
Finite le sorprese passiamo ai piatti in carta, anche se effettivamente prosegue il gioco non sapendo cos’arriverà dalla cucina.
Le mie radici (foto 2). Capolavoro sensoriale. Piatto povero ma ricchissimo. Ecco la composizione: radici di scorzonera, prezzemolo, daikon fermentato, rape e sedano rapa cotto e crudo, cannolo farcito di tartare di acciughe e maionese al cren, e una leggera bagna cauda fatta con latte di soia, acciughe di Camogli, scalogno, zenzero e scorza di limone, versata solo alla fine al tavolo.
Seppia e finocchio. Piatto in due atti. Il primo raccontato, il secondo degustato.
1.Testa della seppia marinata come lardo con sale, zucchero, rosmarino, salvia e limone. Quindi tagliata a listarelle e servita con una salsa al nero, lime e listarelle di finocchio (foto 3).
2. Ragù di tentacoli, ottenuto con gli scarti, al nero e accompagnato da un sorbetto ottenuto con le parti verdi del finocchio (foto 4). Caldo, freddo, colori, consistenze. Il palato ringrazia per il piacere.
Spaghetto Martini cocktail: olive verdi, gin “taggiasco” e caviale. E’ il piatto. Metterei anche la P maiuscola. Cuoco o barman non si capisce più chi si ha davanti. Ma è il gioco intrigante che a tavola ci deve essere. Lo spaghetto è mantecato nello shaker con burro di alghe, colatura di alici, scalogno e scorza di limone. Quindi adagiato nel piatto, dove lo aspetta una salsa fatta con i tre elementi principali del cocktail in questione: olive verdi, vermouth bianco e il succo di limone. Con un cucchiaio viene raccolta tutta la crema della mantecatura e adagiata sul nido di spaghetto perfettamente creato con pinza e mestolo. Caviale Calvisius a completare. Manca ancora un ingrediente non credete? Eccolo, gin taggiasco by Paolo Boeri (Olio Roi), in versione parfum . Un piatto in cui c’è tutto e non puoi chiedere di più.
Vado meno nel dettaglio ora ma ci tenevo a farvi immaginare e degustare con il pensiero almeno questi.
Rana pescatrice, salsa di cicoria e agrumi e un delizioso gelato al fieno di montagna, gel di aceto di lampone e insalatina di germogli di bosco (foto 5). Rimaniamo sul tema entroterra con il primo dolce, Monte Cornua (foto 6), che sa di autunno con terra di cioccolato, funghi (nel gelato e canditi) e marron glacé. Si torna invece sull’interpretazione drink da mangiare con l’Asinello (foto 7), una panna cotta agli agrumi con gelato al bergamotto, spuma di “Asinello” e una cialda a forma di Asinello. Perfetta e freschissima chiusura. Cin cin.
Avete capito da soli che la materia prima qui la fa da padrona, senza sprechi, per una cucina anche etica e sostenibile. Nei piatti c’è ora tradizione ora innovazione, ora semplicità ora creatività. Alla base una grande personalità, intelligenza e grande palato. Niente eccessi ma grande solidità e sicurezza nell’esecuzione. Formazione e referenze? E’ corto il suo c.v. e non in formato europeo. Marco è autodidatta, il suo primo maestro è stato il nonno e la sua formazione praticamente in “azienda”, grazie a tantissime opportunità cucitegli addosso. Non è sempre negativo fare percorsi diversi e questa ne è la dimostrazione, anche per l’umiltà con cui si approccia al dialogo e confronto.
A noi questo viaggio è piaciuto parecchio e mi permetto di inserirlo tra le attrazione della città. Anche perché questo vento non rimane a Genova ma soffia fin molto lontano facendosi sentire forte e chiaro nel richiamo.
Il Marin
Lunedì, mercoledì-domenica:
Pranzo: dalle 12.30 alle 15.00
Cena: dalle 19.30 alle 22.00
Giorno di chiusura: il martedì
Articolo di: Michela Brivio