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Premessa

La cucina giapponese contemporanea arrivò in Italia, e in particolare a Milano, negli anni ottanta. Era una versione diversa da quella segnatamente tradizionale e un po’ ingessata che proponevano i ristoranti storici milanesi, ossia Suntory ed Endo, in cui si sceglieva un menu e non i singoli piatti. Poporoya, una piccola bottega di prodotti alimentari giapponesi, aprì in quel decennio in via Eustachi; composta da due locali, in uno vi era un piccolo banco di circa 2 metri di lunghezza, dove venivano serviti sushi e sashimi soprattutto ad avventori giapponesi. Poi fu la volta degli italiani, il piccolo banco si allungò e quel locale diventò sala da pranzo. Questo per dire che l’approccio della cucina giapponese a Milano fu molto discreto.

 

Il sushi dilaga a Milano

Ma il sushi conquistò i milanesi così che dalla fine degli anni ottanta e per tutti gli anni novanta fu un fiorire di sushi bar, pochissimi giapponesi, moltissimi cinesi con cucina simil giapponese di basso livello che successivamente adottarono la formula all you can eat. Ma sushi e sashimi stanno alla cucina giapponese come pizza e spaghetti a quella italiana, rappresentano cioè solo un piccolo aspetto di una gastronomia ben più ampia e complessa. Negli anni novanta i ristoranti giapponesi erano paragonabili alle nostre trattorie, dove erano preparati anche piatti caldi, ma fu solo nel decennio successivo che aprirono veri e propri ristoranti con piatti dell’alta cucina giapponese, ossia kaiseki.

 

Expo Milano 2015

Con Expo Milano 2015, mentre il padiglione giapponese vedeva file di visitatori disposti ad aspettare ore, l’ufficio commerciale giapponese propose con una campagna molto serrata, due prodotti il sake inteso come “vino” di riso e la carne Wagyu. In Italia qualche bottiglia di sake si era già vista, ma non era di grande qualità, mentre ora facevano ingresso i Super Premium preparati con risi selezionati raffinati sino a ottenere la sola parte centrale del chicco, ossia una piccola sfera. Della Wagyu si conosceva più per sentito dire che per esperienza diretta quella di Kobe. Due prodotti, sake e Wagyu, che ora imperano e fanno tendenza e la Wagyu non manca nelle griglierie più reputate. La Wagyu è cosiderata la migliore carne del mondo, valutata con il punteggio qualitativo più alto, A5+ che prende in esame la marmorizzazione il colore e la brillantezza, la consistenza, la qualità, la lucentezza e il colore del grasso e la resa.

 

Apre Sakeya

Nel 2016 Lorenzo Ferraboschi e Maiko Takashima, fondatori di Sake Company casa importatrice di sake, considerata la richiesta crescente del “vino” giapponese, ebbero l’idea brillante, e anche un po’ audace, di aprire Sakeya  (foto 1), una house of sake, come a Londra e a New York dove servire il sake abbinandolo ai cibi giapponesi più adatti a sposare la bevanda, e tra questi, in modo significativo, la carne Wagyu. Idea audace in quanto i tempi per aprire una “sakeria” potevano ancora essere prematuri; invece i due videro giusto perché non solo i tempi si dimostrarono maturi ma anche perché Sakeya, la cantina di sake più grande d’Europa con circa 150 etichette, ha contribuito a promuovere con successo un prodotto simbolo della cultura nipponica.

 

Il locale

Il locale, mattoni a vista in stile newyorkese (foto 2) che piace ai milanesi, offre un ambiente essenziale dai toni caldi, tavoli e scaffali di legno in cui sono ordinatamente esposte le bottiglie di sake (foto 3). In carta un essay della cucina nipponica, con interpretazioni fusion: dai sushi all’Wagyu diversamente cucinato, scaloppe di foie gras che si abbinano non solo alla carne, ma anche al baccalà, e poi black cod, granchio reale dell’Alaska… Ma veniamo ai piatti che abbiamo provato.

 

La cucina

Le polpettine di polpo in tempura al nero di seppia servite in salsa takoyaki, alga nori e petali di bonito (foto 4) si differenziano da quelle che conosciamo, non solo per la presenza del nero di seppia, per la consistenza più cremosa, ma soprattutto per una maggiore leggerezza della preparazione. Le polpette vanno tagliate per lasciarle raffreddare quanto basta perché diversamente l’ustione è garantita. Sono accompagnateuna salsa sciropposa tendente leggermente zuccherina, tonnetto essiccato e affumicato, il katsuoboshi, l’ingrediente base del dashi, il brodo giapponese base di zuppe e salse.

 

Con la seconda portata fa ingresso l’Wagyu della prefettura di Miyabi che vanta il punteggio A5+. E’ cotto con la tecnica del tataki, ossia la carne spessa almeno 4 cm è scottata su una piastra e poi affettata, per cui simile alla nostra tagliata, e pertanto la sezione più interna è praticamente cruda; viene servita con nuvola di riso, uovo in camicia freddo e salsa ponzu (foto 5) , un mix di soia, mirin e aceto di riso per cui comunica acidità, dolcezza, sapidità e umami; la salsa ponzu si serve generalmente con il tataki soprattutto di tonno.

 

I più golosi non perdano, cucinati sulla brace, gli spiedini di anguilla (foto 6 a sinistra) e di pancetta fresca (foto 6 a destra)… inenarrabili, cha abbiamo provato insieme con le polpette di Wagyu Niku Dango (foto 6 nel centro), scottate alla piastra servite con uovo morbido cotto a bassa temperatura e servito freddo.

 

Il polpo piastrato, onnipresente nella ristorazione milanese, lo troviamo anche qui, però servito con purè di zucca e cips di patate viola (foto 7): è un piatto già visto, il più scontato, e forse per questo motivo è quello che ci ha comunicato meno emozioni.

 

Abbiamo decisamente meglio apprezzato la Steak Wagyu Miyabi con chips (foto 8), cottura al bleu, e ci si può perdere per la texture fitta e morbida, l’intensità di questa carne che non smette di stupire, la piacevole masticabilità, l’eccezionale consistenza morbida, ma non cedevole.

 

Sake

Con questi patti sono stati serviti tre sake (vi sono 30 etichette disponibili al calice). Detto molto superficialmente il primo (foto 9) potrebbe essere considerato alla stregua di un buon vino base, dal sapore morbido e passante. Il secondo (foto 10) è un Premium, prodotto ciò utilizzando chicchi di riso molto levigati, con sapore pulito, ricchezza aromatica fruttata. Il terzo (foto 11 ) ci è piaciuto per la rusticità: per produrlo si utilizza il chicco intero semigrezzo che conferisce al sake un carattere un po’ ruvido, per questo piacevole.

Per concludere al meglio una cena giapponese, un assaggio di Kodakara Yuzu (foto 12) un liquore allo yuzu, l’agrume giapponese molto utilizzato in cucina e che spesso aromatizza la salsa ponzu.

 

Per concludere

Valutando il menu oltre che per i sapori, per le consistenze, avvertiamo una certa geometria: eccezion fatta per gli spiedini, ogni ingrediente morbido è accompagnato da uno crunch. Per concludere è una cucina con una salda base nipponica che si intesse a elementi occidentali, utilizzando metodi di cottura ora orientali tradizionali come il vapore, ora tecnologici come le basse temperature, cucina valorizzata dagli abbinamenti con il sake.

 

Sakeya The House of Sake

Di questo Autore