Il progetto “Storie di Cibo dietro le sbarre” ci ha portato anche in alcune strutture minorili: a Napoli in particolare la scuola di cibo è fondata ovviamente sulla pizza! Quale mezzo migliore per insegnare ai ragazzini che hanno “perso la retta via” come guadagnarsi da vivere in modo sano e anche “goloso”?
In effetti da quando è nato il progetto, di pizzaioli di successo ne sono stati formati tanti, e se si pensa che questi ragazzi avevano “deciso” di delinquere a vita, la soddisfazione è grande!
Ma andiamo con ordine.
L’associazione Scugnizzi di Napoli, fondata da Antonio Franco (foto 2), si occupa da anni di recupero dei minori all’interno degli istituti penitenziari partenopei. Uno dei progetti di maggior successo dell’associazione è “Finchè c’è pizza c’è speranza” nato nel 2010 con il forte sostegno di Giuseppe Marotta de “I Fratelli La Bufala“, con l’obiettivo di “recupero e formazione professionale dei giovani detenuti delle carceri minorili e dei ragazzi dei quartieri a rischio”.
Una scuola di pizzaioli a tutti gli effetti, organizzata all’interno degli istituti minorili, un’occasione per dare un’alternativa ai piccoli “ospiti” di questi luoghi che di crescita e formazione hanno effettivamente ben poco.
Sono stata a visitarli, ho partecipato alle lezioni di pizza in più occasioni, e più volte in chiacchiere informali con i ragazzini mi sono sentita confidare “E’ una fatica questo lavoro, con un mese da pizzaiolo arrivo a guadagnare meno che in un giorno da mariuolo”.
Tristemente reale come battuta, ed è proprio qui che agisce l’associazione Scugnizzi, non solo nell’insegnare un mestiere nella pratica, ma nell’infondere la passione per il lavoro, per l’onestà, per la purezza, e lo fa partendo dalle cose buone, dal lievito, da una farina, dal far vedere come con la volontà e la capacità, è possibile da tre piccoli ingredienti creare qualcosa di buono, rendere felici gli altri con il proprio operato.
Lo fa, insegnando che “avere le mani in pasta” è una cosa bella, e non deve avere nessuna accezione negativa!
Ed è gratificante vedere questi ragazzi all’opera nella Pizzeria dell’Impossibile a impastare, preparare pizze e servirle agli ospiti “non paganti” di questo locale in una via sperduta nella zona dei Decumani.
Questa Pizzeria dell’impossibile (foto 3) è nata nel 2013 proprio per dare modo ai ragazzi del minorile di mettere in pratica gli insegnamenti del maestro pizzaiolo e confrontarsi con il mondo reale. E per insegnare loro anche che non sempre tutto deve portare ad un guadagno, i clienti della pizzeria sono persone mandate da Caritas o altre realtà caritative, sono persone poco abbienti, che non si possono permettere un pasto, persone che vivono in condizioni di povertà, dai padri separati a chi ha perso il lavoro. Insomma un concetto simile alle mense dei poveri che si trovano ormai in ogni città.
Con la differenza che qui si entra in una vera e propria pizzeria e che la cucina è seguita da minori detenuti, che comprendono così l’importanza del lavoro, della solidarietà, della vita. E lo fanno grazie a una pizza!
Hanno tra i sedici e i 18 anni, provengono chi dal carcere di Nisida, chi dalla struttura penitenziaria di Airola, chi dalle tante case famiglia che ospitano ragazzi che hanno sbagliato, commesso un errore.
Scugnizzi, insomma.
Il Comune di Napoli ha messo a disposizione i locali, e l’Associazione Scugnizzi li gestisce in collaborazione con il Centro Giustizia Minorile.
All’interno un’impastatrice per impastare, cassetti per lievitare, un bancone per ammaccare, oliare, pomodoro e fiordilatte per guarnire, pale per infornare nel fuoco del Vesuvio.
Poi c’è il maestro Gennaro Gattimolo che dà istruzioni e guida il gruppo di ragazzi, massimo sette per volta, che vogliono diventare fornai o pizzaioli da grandi.
Le materie prime sono fornite tutte da I fratelli La Bufala (insieme ad altri produttori campani), che si occupano anche di trovare una sistemazione lavorativa ai ragazzi che terminano il loro periodo di pena e che si dimostrano capaci e volenterosi: assunti dalle pizzerie in tutta Italia, spesso la soluzione è allontanarli dal loro ambiente famigliare, causa di tanti mali.
Mariù Fusco, responsabile marketing dei Fratelli La Bufala, ci ha confidato la sua soddisfazione più grande:
“Il massimo dei risultati raggiunti è stato quello di trovare un lavoro vero a questi ragazzi presso le pizzerie della nostra catena in tutta Italia. Alcuni sono diventati anche famosi in realtà al di fuori dell’Italia!”.
E’ il caso di Daniele, un ex scugnizzo che abbiamo conosciuto a Milano e che ora lavora, con grande successo tra l’Italia e il sud America.
“Salvato da una pizza” ci dice ogni volta che ci incontriamo…ma parleremo di lui in un’altra occasione!
Ora vogliamo evidenziare l’importanza di questa “palestra di vita”, dove l’unico “lavoro di mani” i ragazzi lo devono fare nell’impasto e dove le uniche “macchie” che hanno addosso sono quelle di pummarola. La “palestra più bella del mondo”, coi profumi di una Napoli che funziona!
E i risultati nel piatto si vedono! La pizza è buona croccante e ben cotta, ed è bello vedere la soddisfazione negli occhi di questi ragazzi, quando ritirano i piatti vuoti dal tavolo.
Insomma finché c’è Pizza qui non c’è solo speranza, ma anche certezze.
Niente è impossibile nella Pizzeria dell’Impossibile!
Ne siamo convinti anche noi, e nelle Storie di Cibo dietro le sbarre vogliamo raccontare anche di loro.
E loro sono Daniele, Vincenzo, Salvatore e Pasquale …storie di “bambini” cresciuti in fretta che si trovano a sbagliare , molto spesso per un ambiente famigliare “deviato” , altrettanto spesso per un giro di amicizie errato.
Storie di ragazzi che hanno trovato il loro primo ambiente famigliare sano proprio in carcere, con regole e orari mai avuti, e che hanno trovato nei maestri di “pizzeria” i loro primi veri amici, con cui condividere una crescita che, così come un impasto che lievita, ha bisogno di tanta cura e del calore giusto.
Finchè c’è pizza c’è speranza, ci crediamo anche noi!
E come cantava Pino Daniele nella sua “Fatte ‘na pizza”: “Fatte ‘na pizza c’a pummarola ‘ncoppa, vedrai che il mondo poi ti sorriderà!“.
Nelle foto 5 e 6 Nadia Toppino, l’autrice di questo articolo.