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La sostenibilità in cucina. Siamo sempre più attenti all’equilibrio ambientale. Almeno così risulta dalla maggiore attenzione che prestiamo alla raccolta differenziata dei rifiuti, alla ricerca di prodotti a kilometro zero e anche alla più oculata gestione degli alimenti in cucina, all’insegna di una filosofia che limita gli sprechi. 

 

E in tempo di crisi, è ancora più imperdonabile gettare nella pattumiera cibi avanzati per una cattiva gestione del frigorifero. Un atteggiamento ecologista in cucina, non si limita però unicamente al corretto impiego delle materie prime, ma inizia dalla spesa al mercato per concludersi con lo smaltimento dei rifiuti. Il tema è molto attuale, sicuramente di tendenza, ma non rappresenta una novità. Di fatto la cultura contadina, costantemente legata a un’economia di sopravvivenza, non ha mai concepito sprechi. Ma allora che cosa c’è di nuovo nella nostra cucina ecologica? La novità è, sostanzialmente, il bando allo spreco diventato oggi una scelta suggerita sì dall’economia, ma soprattutto dalla sensibilità, da una coscienza ecologica che solo qualche decennio fa non avevamo. 

 

La spesa ecologia

La “coscienza” ecologica si concreta a cominciare dalla spesa al mercato, ossia dalla scelta dei prodotti. Se entriamo in un ipermercato, possiamo disporre di una vasta scelta di ortaggi e di frutti non solo stagionali. Ormai abituati a questo tipo di assortimento in cui vediamo convivere le melanzane con le cime di rapa, le pesche con le arance, abbiamo perso il senso di stagionalità, ossia la percezione dei periodi di maturazione dei vari prodotti. Sappiamo in linea di massima che i peperoni sono verdure estive, e le verze autunno invernali, ma di altri prodotti come carciofi, sedano, mele, kiwi, non sempre abbiamo la certezza di quale sia l’epoca migliore per acquistarli. Se invece visitassimo un mercato in cui sono reperibili prevalentemente i prodotti “nostrani”, cioè quelli che la stagione fornisce, avremmo una maggiore conoscenza della loro stagionalità. In tal senso i mercati che stanno riscuotendo sempre più interesse sono i farmer market, i mercati del contadino o come dir si voglia. Questi, presenti in moltissime città, vedono ai banchi di vendita non già i commercianti, ma i produttori stessi. Si tratta cioè degli agricoltori che portano frutta e verdura, ma anche latte, uova, conserve, formaggi, salumi, al mercato più vicino senza passare per intermediari.

 

Questo cosa comporta? Comporta che la filiera, ossia il numero di passaggi che un prodotto subisce dalla raccolta alla vendita, si accorcia. I vantaggi sono molteplici in quanto riducendo i passaggi la merce da un lato arriva più velocemente e pertanto più fresca al mercato e dall’altra, non essendoci intermediari, subisce meno rincari. Chi vive fuori città, o chi ama le gite fuori porta, potrà cercare invece le fattorie dove è possibile fare la spesa nella formula pick your own, che significa “preleva il tuo”. Di fatto si acquistano i prodotti direttamente presso l’azienda, per cui freschissimi, e in alcuni casi è l’acquirente stesso che coglie i pomodori o le pesche in un paniere: un modo molto interessante ed educativo di fare la spesa. Ma a prescindere da queste nuove realtà, più in generale è sempre vantaggioso acquistare prodotti locali. I motivi sono molteplici. Da un punto di vista economico sappiamo che meno la merce viaggia, minori sono i costi di trasporto. Inoltre il costo di un prodotto colto in piena stagione è più basso che negli altri periodi dell’anno. A ciò aggiungiamo anche l’aspetto gastronomico; un prodotto colto in piena stagione è più gustoso di uno preso acerbo e lasciato maturare durante il viaggio, oppure di serra.

 

Per lo stesso motivo, dal punto di vista nutrizionale, la frutta e la verdura raccolte quando raggiungono la maturazione sono più ricche di vitamine, oltre che di sali minerali a tutto vantaggio del loro apporto benefico. Ma non è tutto. Considerando il punto di vista ecologico,

 

 più un prodotto viaggia, più inquina a causa dell’emissione di gas nocivi alla salute come la CO2. Un frutto prodotto nell’altro emisfero prima di arrivare sul nostro mercato affronterà un lungo quanto inquinante viaggio. Infatti verrà imbarcato su una nave o su un aereo, e una volta arrivato in Italia troverà ad attenderlo nel porto o all’aeroporto il tir che a sua volta lo trasporterà in un centro di raccolta da dove poi sarà smistato, ancora con altri mezzi di trasporto inquinanti, ai mercati locali. E’ ovvio che se un alimento non è prodotto localmente siamo costretti a importarlo, ma se invece è presente è ecologicamente corretto acquistarlo solo quando la produzione è nostrana. Per esempio i kiwi sono prodotti in Italia in autunno e forniscono i mercati sino a primavera.

 

D’estate, invece, i kiwi sono importati dal continente più lontano e, pertanto, giungono dopo un lunghissimo viaggio. Per conseguenza sarebbe corretto concentrare i nostri consumi di kiwi nel periodo in cui è disponibile la produzione nazionale, scegliendo d’estate la frutta nostrana che offre un repertorio di primordine. Diverso è il caso di materie prime che non sono da noi prodotte come lo zucchero di canna, il caffè, la quinoa, il cacao, l’amaranto per cui siamo costretti a importarli se non vogliamo rinunciarvi o se non ci accontentiamo di eventuali surrogati. Mentre facciamo la spesa al mercato, inoltre, proviamo a pensare ai rifiuti che produrremo e a un eventuale compostaggio che ci permetterà di utilizzare i rifiuti umidi (anche in presenza di raccolta dei rifiuti differenziata) per ottenere un terriccio, ossia un fertilizzante naturale da utilizzare per concimare le piante nei vasi che teniamo sul balcone. Se poi possediamo un orto il compost ottenuto sarà un fertilizzante irrinunciabile e a costo zero.

 

Come gestire  la spesa una volta che è arrivata in cucina? Leggetelo qui.

Di questo Autore