Solitamente iniziamo partendo dalla fine. E’ un’abitudine, vorremmo darvi subito l’emozione che proviamo noi nello scoprire vini gustosi e saporiti.
Inizio così da un colore ambrato, da un sapore di caffè, di mallo di noce e di un profumo di crème caramel.
Non è un dessert, è un vino (foto 1). Un vino che si può dire un’opera d’arte dal momento in cui stai a guardarla senza credere che possa essere vera. Un dipinto; di un territorio.
Dietro a questo vino che fornisce un piacere indescrivibile, c’è la terra di un uomo e si chiama Magomadas e Emidio Oggianu (EO, se vogliamo) come è stampato sulla sua maglietta nera (foto 2).
Il vino che vi abbiamo fatto immaginare è dell’annata 1997 una Malvasia di Bosa doc (foto 3), siamo a casa di Emidio a Magomadas, uno dei comuni sardi in cui si produce la doc Malvasia di Bosa (95% Malvasia di Sardegna). Di fronte a noi il vigneto, alla nostra destra il mare, incuneato tra due colline della Planargia sarda.
Il vino ottenuto dalla Malvasia di Bosa con portainnesto americano 420 A scelto attentamente da Emidio, rende un vigneto splendido, con una foglia verde smeraldo pure nel mese di Agosto, un grappolo spargolo, lungo approssimativamente 30 cm.
Un vigneto come un’onda che carezza il suolo, pettinato e curato come un giardino di poco più di un ettaro (quasi 2 oggi) di quelle case che avevano fuori frutteto, orto e vigna e tutto era pensato per la sostenibilità.
Alleato della natura per quanto possibile, avversità esterne permettendo, Emidio si è applicato con una attenzione tale da rivolgersi così soltanto nella vita, alla vigna, che non parla, fruttifica se trattata bene (foto 4).
Quali sono state le annate che ha preferito da quando ha iniziato la produzione di vino nel suo vigneto?
Il 1995 e il 2006 che hanno fornito vini equilibratissimi, mi risponde senza dubbi, di cui non vi son più bottiglie.
#sophisticatedsemplicity
Prima ancora, assaggiamo il vino dell’annata 2010.
E’ un vino salato, che profuma quasi di bottarga di muggine (veniamo proprio da un viaggio a Cabras, zona elettiva per la bottarga). Il vino non conserva grandissima acidità e si dispone verso la morbidezza, facendosi apprezzare con note di frutta secca e di mandorla amara. Un vino che sembra una tavolozza, pensiamo noi.
Il vino si apre con un color oro, sembra un olio prezioso.
Una vigna tirata a sorte con dei bigliettini da scegliere, proprio come Emidio propose al Babbo quando fu il momento di dividere i beni della famiglia tra 7 fratelli. E’ così che Emidio divenne proprietario ed entrò in possesso del terreno che oggi ama così tanto.
Emidio fa pigiare coi piedi le sue uve che sono appassite per 10 giorni, vendemmiate in piccole cassette. I piedi pigiano anche quegli acini disidratati e il vino nuovo va in piccole botti esauste dove sosta 24 mesi prima di essere imbottigliato (foto 5) . Solo una botte di Garbellotto di Conegliano, la più grande che abbia in cantina, è di rovere di Slavonia, comprata nuova.
Per analizzare la percentuale di alcool nel vino utilizza un antico modello dello strumento Malligang, peraltro più preciso di quelli attuali. e ci mostra come fa (video 6).
Ci domandate se è possibile che un grappolo d’uva possa essere simbolo di amicizia. Vi rispondiamo di sì. Una volta, ricevemmo in dono da un amico un grappolino in vetro soffiato che è diventato il simbolo di amicizia e di amore per il vino tra me un caro amico sommelier. Poi, troviamo la storia che vi riportiamo qui sotto.
Storia del Vitigno Malvasia.
Il vitigno, secondo gli studiosi, è probabilmente originario della città di Monemvasia (o Monobasia), sulla costa sud-occidentale del Peloponneso. Monobasia si narra avesse un porto, protetto da un’alta roccia a strapiombo sul mare, con un ingresso strettissimo e difficile da conquistare.
Nel 1248 un principe greco, per espugnare la fortezza, chiese aiuto ai veneziani, che rimasero in quel territorio e si spinsero nell’entroterra. I veneziani seppero subito apprezzare la Malvasia, e misero in piedi un intenso commercio tra la Grecia e Venezia. A Venezia si trova ancora oggi una Calle che porta il nome di Malvasia.
LA STORIA della MALVASIA DI SARDEGNA
In Sardegna è arrivata grazie all’approdo nel nuorese e l’introduzione del vitigno risalirebbe al V-VI secolo d.C. che è detto “Alvarega” o “Arvarega” corrispondente all’italiano “bianca greca”, il che sembrerebbe confermare quanto sostenuto sulle sue origini, poco sopra menzionate.
La presenza dell’uomo in Planargia ha origini e testimonianze antichissime. Numerose domus de janas, nuraghi e tombe dei giganti attestano un’intensa frequentazione del territorio già in età preistorica e protostorica. Ma furono i Fenici a scoprirne i vantaggi dovuti alla posizione geografica, alla presenza di un fiume navigabile e di un entroterra ricco di risorse naturali.
Esiste per questo vino una “letteratura” remota e recente, sia nella tradizione popolare e poetica in “limba” sia “culta” di viaggiatori, esperti del settore e scrittori di grande firma, come Luigi Veronelli e Mario Soldati, che al Malvasia di Bosa hanno dedicato pagine di alto pregio. Ovunque le testimonianze scritte e orali ne decantano la raffinatezza, la soavità e il valore simbolico, nel contesto di forte identità sociale e culturale della zona di produzione.
Dalle genti che abitano la Planargia la Malvasia è sempre stata considerata un vino nobile ed elitario, un vino particolare da riservare per circostanze e persone speciali, perpetuando in questo modo un consolidato rituale sociale. La Malvasia è un vino “chi cheret chistionadu!”, esclamazione questa di gradimento e al tempo stesso complimento al cantiniere-produttore all’atto della degustazione.
E’ il vino della mattina, non perché leggero o di poco conto, ma perché la domenica, dopo la messa, gli uomini fanno il giro delle cantine e si scambiano pareri e saperi sulle sue qualità. La Malvasia è il simbolo dell’amicizia e dell’ospitalità, e la si offre alle persone a cui si tiene particolarmente; è il vino della festa, e non solo per le caratteristiche organolettiche della classificazione ufficiale dei sommelier, ma anche perché privilegiata nelle ritualità festive, in cui più che altrove si esplicitano lo scambio simbolico e le relazioni di reciprocità. La Malvasia di Bosa in questo territorio è quindi soprattutto un bene sociale. Così potete stare certi che quando vi viene offerta, il gesto ha un significato che va oltre i consueti rapporti conviviali perché, come ebbe ad osservare già nel lontano 1895 Pompeo Trentin, “i proprietari difficilmente se ne privano” ma quando lo fanno vi stanno donando molto di più di un bicchiere di pregiata Malvasia di Bosa. Non si può comprendere l’eccellenza raggiunta da questo vino, senza fare riferimento a questo contesto culturale. (FONTE WWW.AGRARIA.ORG)
Per il disciplinare di Federdoc, in odore di Docg, oggi la Malvasia di Bosa (Malvasia di Sardegna), quella DOC (1972), è prodotta in soli 27 ettari di vigneto sparsi in 7 comuni: Bosa, Suni, Tinnura, Flussio, Magomadas, Tresnuraghes, Modolo su terreni di origine vulcanica e dell’epoca geologica quaternaria.
Esistono 4 tipologie di Malvasia di Bosa, principali:
“Malvasia di Bosa” amabile o dolce (15°);
“Malvasia di Bosa” – riserva (15,5°);
“Malvasia di Bosa” – spumante (12°);
“Malvasia di Bosa” – passito (16°).
Di queste è la riserva la tipologia più strutturata, che richiede un periodo di invecchiamento e affinamento di almeno due anni, di cui un anno in botti di legno.
Bene, la Malvasia è a pieno titolo, il simbolo di amicizia
Questo vino di Emidio Oggianu è un vino che va lento. Questo è anche un vino che “va da solo”, talmente perfetto da non richiedere un abbinamento.
Se giusto volessimo fruirne con un cibo, lo suggeriremmo con foie gras, per aperitivo servito fresco.
Un vino che somiglia a un altro vino per preziosità: la Vernaccia di Oristano, da vitigno Vernaccia bianca, con diverso tipo di vinificazione, prodotta chilometri più a Nord.
Due perle, a così poca distanza. Sono vini che abbisognano di essere protetti per non perderli.
Emidio fra le sue avvincenti storie ancora ci confessa: “non ho tempo di fare consuntivo, quando vado a letto, dormo”
“Ho baciato la prima busta paga del mio primo dipendente.”
Diventare imprenditore di se stesso, ha dato a Emidio una gioia grande.
EO ha creduto più di quanto potesse credere per quei 1600 metri quadrati di terra, ci dice, ed è proprio quando non credi che rimarrai sorpreso. Emidio, Emidio, se tu non avessi creduto!