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Gli orange wine sono vini che dopo decenni di oblio, in tempi recenti sono diventati una realtà, sia pur ancora di nicchia, di importanza crescente.
Ne parla Simon J Woolf  nel suo Amber Revolution pubblicato da Edizioni Ampelos dove focalizza gli orange wine in un viaggio da cantina a cantina che dal Friuli lo porta sino in Georgia. Un percorso enologico ricco di spunti, di cultura, di emozioni.

La denominazione orange wine potrebbe creare qualche disaccordo in quanto l’autore vi include i bianchi macerati che a ben vedere non sono esattamente la stessa cosa. Ma J Wolf, pur non ignorando le differenze tra i vari metodi di vinificazione, circa i bianchi fermentati con le bucce precisa che “queste definizioni sono sicuramente più precise ma non si adattano al metodo che viene utilizzato per classificare le diverse tipologie di vino. Sono termini tecnici, mentre oggi si preferisce utilizzare il semplice raggruppamento sulla base del colore, così come fa la maggior parte di chi beve vino”. E in merito cita il docente ed enologo Tony Milanowski che fornisce la descrizione di un sistema a quattro colori (figura 2) per cui:

vino bianco (uve bianche senza fermentazione);
vino orange (uve bianche con macerazione);
vino rosato (uve rosse vinificate in rosato);
vino rosso (uve rosse con macerazione).

Fatta questa doverosa premessa, riprendiamo il viaggio dell’autore dove cala le cantine che visita, nella geografia politica locale delineata dalla storia la quale, chi ne conserva memoria lo sa, è spesso drammatica, quando non spietata.

Ed è questa narrazione che meglio permette di capire la nascita e la crescita di alcune realtà produttrici.

La centralità dell’orange wine consente di comprendere come talvolta sia stata una scelta di uomini coraggiosi, una scelta rivoluzionaria, rischiosa, indubbiamente, ma chi ha avuto coraggio e cuore non ha esitato a farlo. Grazie a queste disanime Amber Revolution rivela una portata maggiore di un testo enologico. L’autore è inoltre prodigo di informazioni utili a partire dai vitigni più adatti alla produzione degli orange wine, e di questi l’invecchiamento, le indicazioni sulle temperature di servizio e sugli abbinamenti.

Ma se gli orange wine non sono nati oggi, dalla loro nascita non sono sempre stati accolti con entusiasmo. Il titolo dell’XI capitolo Ceci n’est pas un blanc, sintetizza come i tradizionalisti più radicali del settore vitivinicolo abbiano inizialmente accolto questo nuovo prodotto della vinificazione.

E qui l’autore entra nel merito dei vini naturali, spiegando che l’orange wine è un sottoinsieme che si sovrappone in parte al vino naturale, ma non è interamente contenuto all’interno di esso. Certamente. Ed è interessante tale approfondimento così come gli appunti sui falsi miti relativi a questo vino, senza dimenticare di elencarne i problemi e i difetti.

Simon J Woolf accenna a come gli orange wine abbiano creato talvolta problemi alla stampa in quanto i giornalisti si trovarono a doversi schierare. Per la blogosfera, invece, fu diverso e con articoli strigati documentò di fatto il diffondersi di questa tendenza.

La parte finale è dedicata ai produttori consigliati ed è un libro nel libro. Sono presentate 180 cantine di 20 paesi di tutto il mondo. Dell’Italia sono descritte 44 cantine dal Piemonte alla Sicilia. Nell’epilogo, che precede le produzioni consigliate, l’autore racconta che oltre al piacere di aver degustato tanti orange wine, per due volte ha avuto l’occasione di provare a produrli, occasione che non si è lasciato scappare.

Assolutamente da leggere perché è di grande insegnamento anche per chi scrive di vino senza averlo mai prodotto, ossia la maggior parte: “I giornalisti, gli scrittori, i blogger come me pensano di sapere un paio di cosette sulla produzione. Facciamo commenti che sembrano intelligenti sulla fermentazione malolattica o sull’uso del batonnage per impressionare /…/ Ma sappiamo veramente di cosa parliamo? No, non lo sappiamo”.

Simon J Woolf
Amber Revulution
Edizioni Ampelos
30 euro

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