Caffè sospeso. Una curiosa definizione, nota per lo più ai napoletani, ma diffusa anche altrove. È un’antica tradizione che consiste nel donare una tazzina di caffè a beneficio di uno sconosciuto, un bisognoso. Si lascia appunto un caffè pagato, sospeso.
Proprio a Napoli questa definizione è stata usata per dare vita, un paio di anni fa, ad un progetto di “reintegrazione sociale” per i minori dell’area penale.
“Un caffè sospeso… come le nostre vite”. Claudio 19 anni, sorride, abbassa lo sguardo e serve il caffè ad un magistrato, forse proprio quello che ha firmato la sua condanna, chissà. Siamo all’interno del Tribunale per i minorenni, ai Colli Aminei, dove la buvette è stata ristrutturata e attrezzata grazie ad alcuni sponsor, ed è stata presa in carico dall’Associazione Scugnizzi che segue il reinserimento lavorativo dei giovani a rischio dell’area penale campana.”Caffè sospeso” prevede un tirocinio di tre mesi, con uno stipendio di 500 euro al mese. Una scuola di barman sul campo, un campo non neutro, ma questa è proprio la sfida: avvicinare i due mondi, farli “contaminare”, far sì che i ragazzi che arrivano dal mondo dell’illegalità imparino un lavoro nel tempio della legalità.
I ragazzi si trovano a servire caffè e colazioni a magistrati, giudici, avvocati, a carabinieri e agenti penitenziari, tutte figure che li hanno visti sul tavolo degli imputati, gli stessi che li hanno dovuti punire per i reati commessi. Un mondo per loro lontano, anche “nemico”, si trasforma in un posto di lavoro, una fonte di guadagno, una scuola di vita, un luogo familiare.
Sono qui al caffè con Antonio Franco, presidente dell’associazione Scugnizzi si proprio lo stesso di cui abbimao già raccontato nella storia sulla scuola di pizzaioli al minorile di Napoli; per leggrla cliccare qui. Mi precisa che si tratta di un laboratorio “di una scuola di lavoro e di vita” e che “l’obiettivo è insegnare a questi ragazzi un lavoro e inserirli poi nel mercato vero. E dopo poco più di due anni dall’apertura sono orgoglioso di annunciare che una delle nostre corsiste è stata assunta da una delle più prestigiose caffetterie di Napoli”.
Al bancone si alternano ciclicamente due ragazzi (o ragazze) in semi libertà, in casa famiglia o con una condanna da estinguere. A guidare i futuri barman è il maestro Mario Alberino, che ormai ne ha visti passare parecchi dietro il bancone: “Prima di insegnare loro come funziona una macchina del caffè gli insegno sempre ad accogliere il cliente e a confrontarsi con le persone. È una scuola di vita quella dietro il bancone, che non può che fare bene a questi ragazzi”.
Uno dei clienti fissi per il caffè della mattina è il presidente del Tribunale per i minorenni, Maurizio Barruffo: “Questo bar è una palestra perfetta di integrazione. Con i ragazzi a rischio si possono fare attività e lavori, ma è tutto abbastanza inutile se non c’è una prospettiva concreta una volta estinta la pena. Qui si insegna a lavorare e diamo a questi ragazzi una chance per costruirsi un nuovo futuro”.
“Dare uno stipendio anche se minimo a questi ragazzi – mi racconta Antonio Franco- significa dimostrare loro che esiste davvero un modo onesto di portare i soldi alle loro famiglie”.
Claudio e Gennaro, i due barman arruolati in questo periodo, questo concetto del lavoro lo hanno ben inteso, e mentre mi preparano il caffè me lo confidano: “Abbiamo sbagliato e pagato. Ora cerchiamo una nuova vita e il lavoro è il primo passo”. I due “Scugnizzi” hanno la sveglia ogni giorno alle 6,30 per essere alle otto puntuali dietro al bancone, in divisa. Avere delle regole, un orario, degli obblighi è di sicuro un nuovo stimolo, così come una giornata di lavoro di 8 ore.
“Questo non ci spaventa – dice Gennaro – siamo pronti. E fare il caffè mi piace, così come sentire i complimenti di chi lo beve, quando mi dicono: il caffè è ottimo, anche se un po’ forte!”. E in effetti è forte davvero, ma forse è più forte la sensazione di buono che mi lascia.
E il Caffè Sospeso di Napoli ora è entrato anche in un documentario di Fulvio Iannucci finito sulla rete Netflix: storie di vita in cui il caffè ha il ruolo di rivalsa, di crescita, di conoscenza e di condivisione. Storie di vite sospese “ma con la certezza di un giorno buono che verrà, senza più sogni inutili ma con una solida realtà”, come si legge nella targa appesa all’interno del bar, dal giorno del’inaugurazione, il 12 febbraio 2016, che ancora ricordo!
E il Caffè sospeso fa anche parte delle mie “Storie di cibo dietro le Sbarre” un libro che racconta tutte queste realtà, di prossima pubblicazione.
Le foto si riferiscono al Caffè Sospeso (interni ed esterni); nella foto 7 l’autrice Nadia Toppino con una confezione di biscotti a forma di corno venduti all’interno del bar.
Articolo di: Nadia Toppino