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“Un vino sognato, un vino coccolato”. E’ la frase che trovate in una delle loro etichette, la novità, e per me la citazione che descrive il loro lavoro.
Era il 2008 quando Emanuele incontra il professor Leo Miglio, figlio dell’illustre politologo e pioniere dell’enologia del territorio (sua la prima bottiglia etichettata). Nulla succede per caso. Decide di lasciargli in gestione i suoi vigneti (foto 2) a Domaso. Inizia così la storia agricola di un neolaureato in Ingegneria edile e architettura. Anche se già prima…

Tutti facevano vino ma per sostentamento e non certo professionalmente. “Era imbevibile”. Con l’industrializzazione la viticoltura è stata via via abbandonata. Non per la famiglia Angelinetta che trova con Emanuele la chiave di svolta. Durante gli studi cerca di guadagnare il più possibile per acquistare le prime strumentazioni e sperimentare come migliorare il vino. La fonte di guadagno sono le api e quindi il miele. Raggiunti i 10.000 euro comincia il cambiamento, con la disapprovazione iniziale del papà che vedeva per il figlio un futuro ingegneristico e non da contadino. Il tempo poi dimostrerà quanto anche questa laurea sia servita. Per fare vino ci vuole poesia ma anche rigore e disciplina.
Un bianco (Calderine), un rosso (Cà del Mot) e un rosé (RoseLario) per iniziare. Passa pochissimo per il rosso più strutturato (Pietrerose), ottenuto con appassimento delle uve merlot. Totale 4.000 bottiglie. Oggi, in Cantina Angelinetta,  siamo a circa 25.000 con una crescita quantitativa che va di pari passo con la qualitativa (foto 3).

Sauvignon, riesling, turbiana (trebbiano di Soave), merlot, schiava e marzemino. Manca un vitigno all’appello ed è doveroso dedicargli tempo, proprio come hanno fatto loro imparando a conoscerlo e addomesticarlo. “… se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo” (Piccolo Principe di Saint-Exupéry). Ed è proprio questo il legame che arriva dritto al cuore, mentre me ne parla.

Verdese (La moglie del re). Unico vitigno autoctono del territorio lariano. Abbandonato dai più perché di difficile gestione, sia in vigna (incostanza e sensibilità all’oidio) che in cantina (difficoltà nella vinificazione, tende a dare riduzione e ha poco di tutto). Tanti gli studi, ma nessun risultato. Non risulta avere nessuna parentela con altri vitigni italiani censiti, non c’è bibliografia e protocollo di vinificazione. Quindi si studia lavorandolo. Senza mai arrendersi e con lo sbagliando si impara, perché il territorio va difeso, valorizzato e niente come questo vitigno può riuscirci. Ottimi i risultati raggiunti. Manca di acidità, ha pochi gradi e struttura e un colore neutro. La sapidità sopperisce a tutto questo dandogli equilibrio e anche longevità. Gli assaggi del 2012, anno della prima vinificazione, lo dimostrano.
Passiamo alle novità. Una appena uscita e l’altra in arrivo.

Occhi Blu 2018 (foto 4). Sauvignon blanc in purezza. Io ho gli occhi di questo colore e averlo è stato meraviglioso, così come l’idea di regalarlo. 1.200 bottiglie, quanti occhi fanno?
Era qualche anno che provava a fare un bianco riserva strutturato. Come? La lettura di un articolo, il perché del sauvignon vinificato in legno, accende la lampadina istruendolo su cosa il legno dava la vino e quali accorgimenti adottare. Apriamo la bottiglia insieme e degustiamo quest’altro vino coraggioso, che vuole sfidare il tempo ed è affascinante, come due occhi profondi e il lago.

Il colore è brillante ,luminoso e al naso non sa di sauvignon. Le note vegetali che ci si aspettano nell’immediato arrivano solo in sottofondo. Il passaggio in legno, tonneau non tostati, regala note molto particolari, tropicali, di pesca noce e spezie dolci. I profumi sono intensi ed eleganti. In bocca è una carezza con qualche rimando balsamico. La chiave di longevità è però la grande sapidità, che regala un equilibrio davvero pazzesco già nell’immediato.

Futuro prossimo. Bollicina. Non c’è ancora un nome anche se tra le papabili opere per l’etichetta io voto “Gli Amanti”. Bellissimo disegno. Un uvaggio (trebbiano, sauvignon e riesling italico). Prima annata con probabile sboccatura a dicembre di quest’anno. 30 mesi sui lieviti e in teoria un pas dosè. Ve ne parlerò a tempo debito, ma intanto era giusto stuzzicarvi con un piccolo assaggio.

Parlavo di opere in etichetta. Sempre sul tema non succede mai nulla per caso e grazie a un amico conoscono l’astista Felice Beltramelli, scomparso da poco. Il disegno commissionato non convince quindi libero accesso al libretto con gli schizzi preparatori e “scegliete quella che vi piace”. Una più bella dell’altra.
Parlo e ho parlato al plurale ma non ho ancora presentato Eleonora (foto 5 Eleonora con Emanuele), la moglie di Emanuele, che inevitabilmente è diventata quasi da subito parte dell’azienda o meglio attività familiare. Destino di tante compagne di vita. In questo caso felicissimo e lo dimostra il suo sorriso contagioso. Lei si occupa più della parte commerciale e adora il lavoro in vigna (foto 6), nonostante la faticosità dei terreni. Viticoltura davvero eroica. Tutto a mano. Ma con una vista sul lago davvero unica e mozzafiato posso dire che passa tutto? Non so se loro sono proprio d’accordo.

Qualche altra piccola nota. I terreni sono sabbiosi, acidi e senza calcare mentre quelli a Grandola basici, con una quota di argilla e calcarei (500 mt). Alla domanda acciaio o legno e bio la risposta più vera. Non ci sono ideologie o metodologie ma il fare la cosa giusta per il tipo di territorio e terreno. “Il nostro lavoro in cantina consiste nell’assecondare e mantenere le peculiarità delle uve dando al vino una personale impronta stilistica”. Nessun investimento in pubblicità. Parla solo il prodotto e il passaparola. Un metodo lento ma sicuramente più duraturo e che colpisce solo chi cerchi. Fondamentale il nascere nel 2008 insieme all’IGT Terre Lariane ed essere tra i 7 fondatori del Consorzio l’anno dopo. Sarebbe stato impossibile altrimenti implementare la superficie di vigneti, oltre alla crescita data dal confronto con gli altri produttori, attualmente 20.

Chiudo chiedendo alla coppia un racconto romantico . Ecco la foto (foto 7). Il loro matrimonio. Il mezzo del loro matrimonio. Bonetti. E per salirci? Scaletta in legno che si usa in cantina. La poesia e l’amore. Il vino.

Articolo di: Michela Brivio

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