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Per quanto il crudismo non sia una novità, è solo da qualche anno che ha assunto una valenza in qualche modo ideologica, nel senso che identifica quantomeno uno stile di vita, per cui pensieri, opinioni, valori e non solo una scelta alimentare. Ciò ha stimolato un dibattito talvolta conflittuale.

Innanzitutto va detto che crudismo è oggi considerato nella sua accezione più stretta, ossia riferita all’alimentazione raw vegan, ed è questa particolarità a scaldare il dibattito. Il crudismo letteralmente inteso proprio di chi mangia esclusivamente cibi crudi di qualsiasi natura è invece  meno considerato anche perché davvero raro come stile alimentare.

In ogni caso si parla di crudismo, spesso senza cognizione di causa, ovviamente, come di una dieta di per sé carente e in qualche modo potenzialmente pericolosa per la salute di chi la pratica. Inoltre è vissuto come una sorta di estremismo alimentare, una forzatura.

Ma a prescindere da valutazioni più o meno pregiudiziali, da un punto di vista gastronomico che cosa si può aggiungere considerato che non è questo l’aspetto più rilevante del contendere?

Innanzitutto va solo ricordato che prima della scoperta del fuoco l’uomo mangiava prevalentemente alimenti crudi con la sola eccezione di qualche cibo episodicamente consumato dopo il divampare di un incendio che ne aveva procurato la cottura. Soprattutto frugivoro, si nutriva anche di animali morti, ossia ciò che rimaneva del pasto dei carnivori e se insediato sui litorali mangiava anche piccoli molluschi, crostacei e i pesci che rimanevano imprigionati nelle pozze d’acqua durante le basse maree; solo più tardi, dopo la scoperta del fuoco, cominciò a cacciare.

L’uomo fu crudista per buona parte della preistoria, quantomeno come Homo habilis e Homo erectus. Di fatto la capacità prima di conservare il fuoco e poi di riprodurlo, cambiò la dieta umana. Con il fuoco iniziò, se si vuole, lo sviluppo della culinaria, per cui il cibo divenne nel tempo, oltre che nutrimento, momento di appagamento gustativo e anche cultura.

Oggi le cotture sono arrivate a livelli di perfezione un tempo inimmaginabili e i cibi cotti rappresentano la base nella dieta umana. A propria volta il crudismo attuale, non è rimasto al paleolitico, non ignora i millenni di evoluzione del gusto e, nei propri piatti, ricerca la piacevolezza (ne abbiamo accennato qui). Crudismo quindi non significa solo insalate e pinzimoni, ma anche cibi fermentati, sottoposti a essiccazione a non oltre 42°C che pertanto non cuociono e lasciano inalterati enzimi e valori nutritivi, a estrazioni, a marinature, a emulsioni e anche nella ristorazione vi sono esempi di buona cucina vegana, con qualche acuto di alta cucina.

Da un punto di vista gastronomico il crudismo non presenta lati deboli. Rispetto alla cucina tradizionalei, ha il vantaggio di proporre il gusto originario degli ingredienti che è la forma di maggior rispetto verso il cibo.

I cuochi che si sono rapportati a Expo non si sono limitati a proporre una cucina il più possibile sostenibile, ma anche a utilizzare cotture che rispettassero la natura del cibo per cui spesso brevi, semplici. A ciò si aggiunga, la sostenibilità di questa cultura alimentare, elemento di cui una valutazione gastronomica non può ormai prescindere.

Il crudismo, a parere di chi scrive, è un’espressione culinaria che merita rispetto… ovviamente quando è elaborazione compiuta.

Di questo Autore