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Mathilde Mauté de Fleurville capiva subito quando il marito aveva bevuto troppo assenzio: rincasava la notte, e si lasciava cadere sul letto senza neppure togliersi gli stivali inzaccherati. Se poi lei protestava, il bruto minacciava di far saltare la casa, compresi i suoceri, ossia i proprietari, che abitavano al piano inferiore. Quando poi si incontrava con quel suo amichetto, tal Arthur Rimbaud, la situazione degenerava e quel buono a nulla di suo marito, insomma Paul Verlaine, rincasava addirittura ferito alle gambe a seguito di chissà quale gioco perverso che non voleva neanche immaginare.

Ma l’absinthe non solo era la bevanda preferita dei poeti maledetti, come appunto Verlaine e Rimbaud e di altra gente della stessa pasta, ma anche di alcuni pittori impressionisti, come quel Vincent Van Gogh che si era mozzato un orecchio proprio perché, almeno così si diceva, ingollò assenzio al punto di sragionare.

Ma la goccia che fece traboccare il vaso, che mise cioè a prova la santa pazienza dell’opinione pubblica, la quale reagì istericamente e mise finalmente al bando quella bevanda maledetta come i suoi bevitori, fu provocata da Jean Lanfray, contadino svizzero di 31 anni del Vaudoise. Lo sciagurato il 28 agosto 1905, ebbro d’assenzio ammazzò moglie e figli.

A dire il vero, parrebbe, anzi è certo, che oltre ai due colpevolissimi bicchieri di assenzio, avesse in quell’occasione tracannato pure una crema di menta, un Cognac, sette bicchieri di vino, un caffè corretto al brandy, poi un altro litro di vino, e altro brandy, per cui il raptus fu scatenato da un mix di ingredienti, come dire, da un cocktail. Ma si tratta di dettagli; l’importante è che Lanfray avesse bevuto quell’assenzio e ciò bastava e avanzava alla coscienza della gente che insorse per dire finalmente basta a quella droga liberalizzata.

Così fu proibito in Svizzera e non solo. Quello spettro che si aggirava per l’Europa fu messo ovunque al bando, ovviamente anche negli States, paese vocato al proibizionismo. Anche in Francia, che ne era la patria adottiva, come Madame Mauté de Fleurville erano molti i nemici dell’assenzio, ovviamente la parte “sana” della nazione. In particolare i più indignati erano, bontà loro, i vigneron, stanchi di vedere i loro ballon di rouge o di blanc, snobbati per quell’intruglio verdastro.

Ma nonostante la lobby vinicola facesse sentire il proprio peso, l’assenzio resistette non perché i ministri della Terza Repubblica ne fossero accaniti consumatori, ma in quanto garantiva alle casse statali un significativo introito fiscale. Nel 1915 fu, però, messo al bando lasciando il campo a Côtes du Rhône e Beaujolais. Eppure l’assenzio, cioè l’erba officinale che dava anima e corpo al distillato, è addirittura medicamentosa e se somministrata con moderazione allevia molti malanni. Ma allora perché fu messo alla gogna? Sicuramente perché associato a uno stile di vita trasgressivo e per ciò socialmente pericoloso.

Inoltre perché conteneva un principio attivo presente anche nella canapa indiana: probabilmente ciò spiega perché fosse la bevanda preferita dagli artisti “controcorrente”, chiamata, per il colore, fée verte, vale a dire fata verde (il nome del distillato è di genere femminile).

La fata, nasceva da un macerato di alcol con assenzio, anice e finocchio, allungato con acqua e distillato; si otteneva in tal modo un’acquavite ovviamente adamantina, che veniva colorata pompandola in un contenitore dove erano presenti assenzio e altre piante in polvere, così da colorarsi.

Un altro metodo di produzione consisteva nel lasciare macerare le piante direttamente nell’alcol; il composto era poi filtrato.

Esisteva infine una ricetta probabilmente a uso e consumo dei bevitori più incalliti, che consisteva nel far macerare l’assenzio nel distillato di assenzio: pas mal.

Ma a prescindere dalle valutazioni morali, salutari e organolettiche, vale la pena soffermarsi sul rituale della degustazione. L’assenzio molto alcolico e concentrato, occorreva diluirlo proprio come il Pastis (alcuni, però, lo preferivano nature). Era pratica pertanto ricorrente allungarlo con acqua oltre che zuccherarlo. Per far ciò sul calice riempito con una dose di distillato veniva appoggiato un insolito cucchiaino a forma di foglia lanceolata, molto decorato, di foggia gotica, provvisto di più fori o, meglio, fessure. Sul cucchiaino era adagiata mezza zolletta di zucchero su cui si versava lentamente acqua ghiacciata così da scioglierla e raccoglierla, con l’acqua, nel bicchiere. Finita l’operazione, si mescolava con il cucchiaino la bevanda. Non restava, poi, che sorbire l’absinthe e godere di quel sapore completato dall’anice come i più diffusi aperitivi francesi. Il primo assenzio venne prodotto in Francia nel 1805 da Pernod, in base a una ricetta che risaliva al secolo precedente. Nel bene e nel male, ebbe grande successo, dilagò in tutta Europa, e per un secolo conquistò generazioni di bevitori non tutti santi. Quindi, ai primi del Novecento le censure, la condanna e l’oblio. Qua e là in Europa si ebbero apparizioni episodiche. Era inoltre suggerito un modo diverso di degustarlo rispetto a quello canonico; la zolletta di zucchero posta sul cucchiaino veniva imbevuta del distillato, quindi flambata, infine mescolata all’assenzio insieme con l’acqua fredda

Ma veniamo ai giorni nostri. Vi è un assenzio, che potremmo definire molto attuale che nasce dalla passione della Distilleria Berta per l’artemisia (Artemisia absinthium). La Distilleria di Mombaruzzo (AT) reputata per le grappe e altri distillati prodotti, ha saputo riprendere la favola della fée verte facendola rivivere grazie al liquore Favola Mia, ottenuto da un infuso di artemisia in alcol così da ottenere Berta Favola Mia Liquore Selezione Assenzio complesso, ampio, avvolgente, con grande personalità.

Al naso si evidenziano sentori di artemisia, anice stellato, menta e coriandolo.

In bocca si rivela ricco, avvolgente, e si confermano le sensazioni avvertite in fase olfattiva.

Da centellinare in purezza o da miscelare in coktail.

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