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Si parla sempre più stesso di vitigni resistenti. Ed è una scelta agraria che non coinvolge solo i produttori, ma tutti, in quanto questi vitigni, conosciuti anche come PIWI,  ossia resistenti alle malattie fungine come l’oidio e la peronospora, permettono una riduzione massiccia dell’uso dei pesticidi che sono fattori altamente inquinanti.

Per meglio comprendere la portata di questi vitigni è sufficiente osservare la realtà europea dove la viticoltura rappresenta solo il 3% della superficie agricola coltivabile, ma utilizza il 65% dei pesticidi. I vitigni resistenti richiedono trattamenti minimi, uno o due annui, meno, per esempio, dei 15-30 trattamenti di zolfo della conduzione biologica che, laddove si può attuare, è meno inquinante di quella tradizionale.

Per completare il quadro è il caso di precisare che un vitigno resistente nasce da un incrocio, e nulla ha a che vedere con gli OGM.  Pertanto troviamo molto interessanti e sostenibili nei fatti esempi come:

Ω Ohm 2018 Abbazia di Novacella di cui abbiamo scritto qui;

Sant’Eustachio Sauvignon Nepis Veneto IGT 2021 Giusti (cliccare qui);
Ca’ de La luce Vino Bianco 2020 Rocche dei Vignali (cliccare qui).

A questi vini agiungiamo quelli da vitigni resistenti della rete di aziende della Resistenti Nicola Biasi  (i produttori nella foto 1)di cui abbiamo scritto qui.

Quest’ultima  è una realtà, in crescita, oggi composta da otto aziende agricole di altrettanti territori tra Friuli, Veneto e Trentino. La rete ha compiuto uno studio comparativo sull’impronta di carbonio nella produzione di vini da varietà tradizionali e vini da varietà resistenti in collaborazione con Climate Partner:  -37,98%, questo è il valore riscontrato, in termini di CO2 prodotta nella gestione di un vigneto con vitigni resistenti e uno con varietà classiche a parità di condizioni climatiche e territoriali.

Lo studio, condotto nel 2022 presso l’azienda Albafiorita in provincia di Udine, ha tenuto in considerazione tutti gli aspetti globali della produzione, dal vigneto alla commercializzazione, mettendo in luce l’importanza delle scelte imprenditoriali sul tema dell’impatto ambientale. I dati rilevati vanno dal packaging, alla chiusura, passando per la tipologia di bottiglia utilizzata fino ad arrivare a ciò che ha fatto veramente la differenza: l’utilizzo di vitigni resistenti permette oggi di avere alta qualità, alta sostenibilità e minori emissioni di CO2. Queste nuove varietà resistenti, come detto, permettono una riduzione dei trattamenti, un minor utilizzo di antiparassitari, ma anche un minor consumo d’acqua con un conseguente impatto ambientale non paragonabile alla viticoltura attuale.

Albafiorita a Latisana, Della Casa a Cormons, Ca’ da Roman a Romano d’Ezzelino, Colle Regina a Farra di Soligo, Poggio Pagnan a Mel, Vin de la Neu a Coredo, Villa di Modolo a Belluno e Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna sono le 8 aziende della rete che rappresentano un esempio virtuoso nel mondo della viticoltura attraverso le loro attività. Una scelta che parla di difesa del territorio, valorizzazione del luogo e consapevolezza che, grazie all’innovazione, si può creare una viticoltura reale sempre più sostenibile.

Più in generale guardando all’Italia, i vitigni resistenti attualmente registrati come tali nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite  sono circa 35. Numero che sta progressivamente aumentando grazie alla ricerca che produce sempre nuovi genotipi.

Si tratta di una realtà ancora limitata che però sta crescendo in maniera esponenziale.

Di questo Autore