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Wagyu Miyabi. Il mercato italiano si sta aprendo all’import di carne di manzo giapponese ossia l’wagyu (wa= Giappone gyu= manzo) di cui abbiamo scritto qui. Per il consumatore italiano si tratta di una scoperta relativamente recente. Sino a non molti anni fa l’unica carne giapponese che si nominava era la Kobe, senza ben capire se la denominazione si riferisse a una località, a una razza, a un sistema di allevamento o a tutte e tre le cose.

Kobe è il nome della città più importante della prefettura di Hyōgo, una delle 47 prefetture giapponesi, nota più di altre per l’allevamento di wagyu.

Anche in Giappone non vi è una sola razza bovina da carne; quella più pregiata si chiama Kurage o Japanese Black. Di minor pregio sono invece le Japanese Brown, Japanese Polled e Japanese Shorton. Della Kurage la varietà Tajima-ushi è considerata in assoluto la migliore. Caratteristica imprescindibile della carne giapponese è la marezzatura, ossia la notevole infiltrazione di grasso nei tessuti (foto 2) . La carne esportata deve essere di razza giapponese, allevata in Giappone e macellata in Giappone.

La Tajima-ushi è l’unica varietà ammessa per la produzione della carne Wagyu Miyabi, allevata nella prefettura di Kyoto considerata al top della qualità. La importa in Italia e in Europa la Wagyu Company la quale oltre a commercializzare la carne svolge un ruolo di informazione attraverso la diffusione culturale di tutto ciò che è connesso con questa realtà alimentare. Pertanto organizza degustazioni, educational per i cuochi in modo che chi acquista la carne Miyabi possa utilizzarla al meglio destinando ciascun taglio alla cottura più adatta. Va ancora detto che Wagyu Company è un progetto che ha per ideatori un team italo-giapponese ossia Maiko Takashima, Lorenzo Ferraboschi (ideatori anche di Sake Company) e Paolo Tucci, gastronomo laureato all’Università di Scienze Gastronomiche.

L’allevamento in Giappone non è intensivo. Si tratta in genere di allevamenti a conduzione familiare dove gli animali vivono una vita senza stress, ossia senza inquinamenti compreso quello acustico. Abbiamo partecipato a una Master Class con la presenza di Hirai San, allevatrice di Wagyu Miyabi che esporta la propria carne in Italia tramite Wagyu Company. Alla Master Class Hirai San ha parlato della sua realtà, dei suoi bovini.

La Tajima-ushi, che lei alleva, è una razza moto paurosa e pertanto è importante difenderla dagli stress. Al contrario di quanto accade negli allevamenti italiani dove i vitelli arrivano già svezzati, nel suo allevamento nascono in fattoria e non sono separati dalle madri e queste li allattano sino allo svezzamento. Le famiglie che si formano sono tenute unite per evitare stress da separazione. Il vitello viene quindi allattato dalla madre, perché a questa non viene sottratto il latte come in molti paesi tra cui l’Italia, ma anche il Giappone. L’acqua potabile utilizzata per abbeverare il bestiame è di alta qualità tant’è che viene imbottigliata, mentre l’alimentazione comprende erbe selezionate come la timotea che conferisce una nota aromatica particolare alla carne. Gli ambienti interni sono sani e puliti, con lettiere formate da legni aromatici pulite costantemente.

Un’altra differenza tra gli allevamenti italiani e quelli wagyu è data dalla durata della vita dei capi di bestiame. In Italia i manzi sono abbattuti a 18-24 mesi, mentre in Giappone la media è di 27 mesi, per arrivare a 31-36 mesi nel caso del Miyabi Wagyu. La durata maggiore della vita permette di arrivare a ottenere esemplari con carni che hanno raggiunto l’eccellenza ossia maggiore tenerezza e minore temperatura necessaria al grasso per sciogliersi. Il grasso della carne Miyabi fonde a circa 27 °C: ciò significa che se appoggiamo su una mano una fettina di carne, il grasso fonde come fosse burro.

Dal punto di vista nutrizionale il contenuto di acido oleico della carne Wagyu di Kyoto è del 55-58 %. Per capire quanto sia elevata questa percentuale basterà ricordare che l’acido oleico dell’olio extravergine d’oliva è pari al 60 %. L’acido oleico abbassa il tasso di colesterolo “cattivo”. A ciò va aggiunto che è di per sé una carne povera di colesterolo, contiene proteine “bruciagrassi” come l’ananina e la treonina, il sodio presente garantisce una piacevole sapidità e ha un buon tenore di acidi grassi omega 3 e omega 6. Dall’allevamento al banco di vendita della carne, ogni capo ha una tracciabilità precisa ed è dotato di un certificato di garanzia emesso dalla prefettura a titolo di garanzia. La classificazione di wagyu viene eseguita da un istituto pubblico che esamina la marezzatura, il colore del grasso e altri elementi. La qualità della carne viene classificata in 15 classi che vanno dalla C1 alla A5; quest’ultima che definisce la migliore qualità, è l’unica trattata da Wagyu Company.

Ma a differenziare le carni bovine italiane e giapponesi è anche il prezzo. La carne wagyu è sicuramente più cara, ma oltre all’aspetto salutistico non secondario sopra ricordato, occorre considerare che sazia già in piccole quantità. Inoltre, ha una tenerezza impressionante. Si potrebbe dire che la wagyu stia alla carne bovina come il foie gras al fegato.

Wagyu Company importa carne Miyabi con l’obiettivo di diffonderne il consumo non solo per una nicchia elitaria. I presupposti ci sono se si considera come si sono modificati i consumi di vino in Italia, un tempo molto elevati di vini soprattutto di fascia bassa. In seguito, anche con il migliorare degli standard qualitativi, si è imparato a bere meno ma meglio. Lo stesso percorso supponiamo che varrà anche per la carne wagyu, considerato che gli allevamenti intensivi sono sempre più invisi per come sono trattati gli animali, e per l’elevato impatto ambientale.

Wagyu Experience

Dopo la Master Class abbiamo partecipato a una cena degustazione di carni wagyu utilizzate per la preparazione di piatti italiani o comunque occidentali.

La carne Wagyu Miyabi in qualsiasi modo sia declinata esprime carattere e sapore inconfondibili.

Il gambero crudo avvolto da una fettina sottile di carne wagyu (foto 3) è un ottimo abbinamento per capire come sia eclettica questa carne.

Nel degustarla cruda in tartare, accompagnata da burrata, pomodorini confit e olio al basilico (foto 4) se ne coglie la densità; la tartare è stata preparata con un taglio tra i più magri per avvicinarsi al gusto occidentale.

Nel carpaccio (foto 1) la carne è condita con olio alla rucola, crema di Parmigiano Reggiano 40 mesi e senape di Digione al miele di agrumi. E’ notevole la sensazione fondente della carne in bocca e il sapore è ben dichiarato così da non farsi intimidire dalla crema di formaggio.

Per provare questa carne in tutte le salse con l’wagyu è stato preparato un ragù in stile bolognese, servito con crostini di pane croccante che invitano alla scarpetta (foto 5). Anche così elaborata, in qualche modo camuffata, la carne è riconoscibile perché è molto cremosa, sapida, fondente. Inoltre la presenza del grasso fornisce una consistenza burrosa e avvolgente e nel complesso ha un’intensità gustativa superiore a quella del ragù tradizionale italiano.

Proposte con la salsa tonnata, fettine di carne cruda (foto 6) sono servite per essere cotte su pietra direttamente al tavolo (foto 7). Appena a contatto con il calore il grasso della marezzatura fonde, la carne concentra il sapore e in bocca si scioglie; l’abbiamo provata anche cruda, per ritrovare sensazioni simili a quelle comunicate dal carpaccio.

I ravioli di wagyu (foto 8) al burro e salvia sono spadellati con burro e grasso wagyu con salvia fritta nel grasso wagyu, completati con Parmigiano Reggiano di 60 mesi. Il ripieno differisce da quello tradizionale, che è maggiormente compatto; qui è più sciolto, scorrevole più simile a un ragù; il sapore è netto, pieno, intenso.

Miyabi tagliato a spezzatino, cotto a bassa temperatura con fondo ristretto di manzo e verdure (foto 9). Il sapore del piatto è quello che ci si aspetta guardandolo, non ci sono sorprese; il fondo di cottura, preparazione occidentale, si sovrappone alla struttura grassa della carne e le verdure svolgono un ruolo importante, diluente del sapore e forniscono croccantezza.

La cotoletta di wagyu in doppia impanatura (foto 10) e preparata utilizzando punta di petto: insolito vedere una cotoletta di carne rossa; la carne però compete con quella bianca per tenerezza anche se la punta di petto è un taglio piuttosto tenace.

Infine la bistecca di controfiletto alla griglia (foto 11) è il piatto in cui, a nostro parere, la carne si esprime al meglio: il grasso presente non solo ammorbidisce la polpa, ma introduce una nota piacevolmente “dolce” che bene si intesse con il gusto intenso e concentrato dalle parte più magra; la bistecca è tenerissima, sapida, ed è una delle cottura che maggiormente valorizza le caratteristiche dell’wagyu.

L’esperienza è stata piacevole e istruttiva e ci è piaciuta l’idea di utilizzare la carne per preparare piatti italiani. Va detto che si è trattata di una cena degustazione per un pubblico di esperti che conosce questa carne e provarla all’italiana è sicuramente un’esperienza volutamente insolita.

Ma il ristoratore italiano che decidesse di metterla in carta non cerchi di renderla più simile alla nostra per timore che al cliente non piaccia perché molto diversa. Occorre che la carne wagyu sia proposta in modo che esprima tutte le proprie peculiarità. Ed è percependo la netta diversità che il cliente accetta un prezzo più elevato. Diversamente se tale differenza fosse ridotta, allora la differenza di prezzo non sarebbe giustificata dal cliente e la scelta cadrebbe sulla carne meno cara.

La cena degustazione è stata realizzata nel ristorante Tonazzo di Vicenza da Gianfranco Lo Cascio, grill master e fondatore di BBQ4ALLL.

Un angolo di Giappone in Italia
Wagyu company
Sake Company
Sakeya di cui abbiamo scritto qui
Sake Sommelier Association

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