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Una sera ho avuto il piacere di ricevere a cena Gualtiero Marchesi, che io considero “il” maestro, in compagnia della moglie Antonietta. Avevo pensato a un menu elaboratissimo, considerata l’importanza degli ospiti, ma poi ho considerato non solo il suo modo di cucinare, ma anche il genere di menu che Marchesi propone a un ospite importante. Ricordo, per esempio che avendo una sera per ospite un Troisgros, gran chef francese, servì, tra gli altri piatti, una pasta al cacio e pepe, ossia semplicissima, confidandomi che Troisgros, essendo anche un raffinato buongustaio, avrebbe capito sia la semplicità, sia l’adeguatezza del piatto.

 

Pensai pertanto di proporre una sequenza di piatti basata sulla semplicità. Scelsi per tema il pesce. Ma che cosa? Niente chaud-froid o altre elaborate salse. Mi ricordo che un giorno Marchesi mi disse che apprezzava molto il salmoriglio, salsa a base di acqua, succo di limone, olio e origano, proprio perché semplice, senza sbavature, essenziale, non barocca e pertanto mi sono adeguato a tale stile. Come “hobbista” della cucina, nel corso degli anni ho cambiato diversi stili cucinari. Sono partito con una cucina semplice, spesso regionale, ma quando ho rafforzato le mie basi gastronomiche e con esso affinato i miei metodi di preparazione e di cottura, ho voluto sfidare la grande cucina internazionale, così da cimentarmi in salse di difficile esecuzione e in piatti elaborati. piatti.

 

Ma dopo questa fase che stava rischiando di portarmi a divorziare da mia moglie sentii l’esigenza di maggior freschezza d’esecuzione e di sapori. Per conseguenza, dopo che avevo di anno in anno complicato la mia cucina, da quel momento ho cominciato a semplificarla così che talvolta preparo menu persino crudisti con portate vegetariane, di pesce e di carne. Anche la cena che organizzai per i coniugi Marchesi prevedeva qualche crudità. Cominciai con un piccolo sashimi di branzino e rotolini di alga nori farciti di tartare di salmone diversamente guarniti. Dopo il crudo passai al vapore con scampi e calamari, poi al forno con la tagliata di pesce spada, quindi una preparazione brodosa, ossia una zuppetta di cozze al burro e salvia, successivamente spaghetti alle melanzane e infine Roquefort al miele di tartufo. Stappai un Magnum di Ca’ del Bosco Dosage Zero 1994.

 

Con il Roquefort proposi un Verduzzo Ronchi di Cialla 1990 e un Porto Barros 1975. In pratica ho impostato un menu sulle cotture partendo dal crudo, per proseguire con le altre: per primo al vapore, che caratterizza cibi delicati, quindi al forno, poi in zuppa, inteso come in umido; ho poi servito gli spaghetti alla bottarga ossia un piatto asciutto che riequilibrava quello precedente oltre che essere il più saporito tra quelli sin lì serviti. Infine il formaggio, ossia la portata più sapida.

 

Piccolo sashimi di branzino e rotolini di alga nori
Ho sfilettato e privato della pelle un branzino di un chilogrammo, quindi ho tagliato da un filetto la parte più vicina al collo è ho separato la ventresca dal filetto dorsale, affettando entrambe con taglio obliquo. Ho quindi preparato una pasta wasabi, raccogliendo in una tazzina 2 cucchiaini di polvere di rafano verde giapponese (wasabi) con l’acqua necessaria per ottenere un impasto malleabile. Ho tagliato a dadini 160 g di fletto di salmone; l’ho raccolto in una terrina è ho unito un pezzetto della pasta wasabi appena preparata diluita in un cucchiaio di soia, un cucchiaio di capperi di Pantelleria, dissalati, passati nell’aceto e tritati sottilmente; una brunoise (dadi piccolissimi) preparata con un quarto di scalogno, ho unito due cucchiai di olio extra vergine d’oliva leggero come quelli dei laghi alluvionali e ho mescolato. Ho passato sulla fiamma alcuni fogli di alga nori (l’alga che avvolge alcuni rotolini di sushi) quindi ho disposto alla base di un foglio una grossa striscia di salmone e ho arrotolato, ho eliminato l’alga precedente. Ho tagliato il rotolo ottenuto in sei pezzi uguali, ossia sei cilindri che ho messo ritti in un piatto; ho ripetuto l’operazione sino ad esaurire gli ingredienti. Successivamente ho disposto su parte dei cilindri un cucchiaino di uova di salmone, su un’altra parte caviale karaburum, infine polpa di riccio di mare. Ho disposto il sashimi in un piatto con il wasabi a forma di cono; ho fornito a ciascun commensale una ciotolina dove stemperare il wasabi con salsa di soia, per poi intingervi le fette di branzino. In un altro piatto ho disposto i rotolini assortiti.

Calamari e scamponi al vapore
Ho sgusciato gli scamponi senza però eliminare la pinna caudale e la testa, quindi ho eliminato il filo intestinale. Ho mondato i calamari di media grandezza. Ho fatto cuocere prima gli scamponi per pochi minuti, poi i calamari. Li ho conditi con una salsa preparata emulsionando un cucchiaino di salsa di soia, un cucchiaio di olio extra vergine d’oliva, un cucchiaino di aceto di riso.

Robespierre di pesce spada
Ho utilizzato un filetto di pesce spada circa di 400 grammi, di forma cilindrica di 5-6 centimetri di diametro. Ho sminuzzato nel cutter 25 g di pistacchi; ho spalmato il filetto di pesce spada con un leggero strato di senape di Digione, quindi l’ho passato nel pistacchio che avevo raccolto in un piatto. Ho disposto il pesce in una teglietta unta con poco olio e l’ho passato nel forno sino a che la temperatura della sezione più interna ha raggiunto 40 gradi. Ho affettato e servito condito con sale e olio extra vergine d’oliva dei laghi alluvionali.

Cozze burro e salvia
Ho fatto fondere 10 g di burro in una casseruola; ho unito tre foglie di salvia spezzettate e mezzo spicchio di aglio schiacciato lasciandoli appassire a fiamma bassa. Ho aggiunto 20 cozze d’Olbia, ho coperchiato e dopo un minuto ho alzato la fiamma. Dopo 3-4 minuti, o quando le cozze si sono aperte, le ho distribuite in quattro concoline; ho fatto restringere per un minuto il loro liquido, l’ho filtrato, quindi l’ho utilizzato per condirle versandolo con un cucchiaio e ho servito.

 

Spaghetti con le melanzane
Ho affettato due melanzane nere, le ho disposte in un colapasta sul lavello, cospargendole di sale grosso, e vi ho sovrapposto un peso. Ho affettato una cipolla rossa di Tropea e l’ho fatta lungamente appassire in due cucchiai d’olio extra vergine d’oliva senza lasciarla dorare, insieme con un peperoncino piccante che poi ho eliminato; dopo circa 12 minuti, ho aggiunto la polpa di 500 g di pomodori sbucciati, privati dei semi e tagliati a pezzetti. Ho salato e ho lasciato cuocere 30 minuti o sin quando il sugo si presentava ben legato e denso. Ho sciacquato le melanzane, le ho asciugate, quindi le ho fritte in abbondante olio. Nel frattempo cuocevano 280 g di spaghetti. Ho sgocciolato le melanzane e le ho passate su carta assorbente da cucina. Ho scolato la pasta, l’ho passata velocemente nella padella del sugo, ho unito qualche foglia di basilico spezzettato con le mani appena dopo aver spento la fiamma. Ho portato la padella a tavola, ho fatto i piatti e li ho completati con le melanzane fritte. Dovrei chiamarla pasta alla Norma? No, perché ho messo il peperoncino e non ho grattugiato né pecorino, né formaggi.

 

Roquefort al miele di tartufo
Il galateo del menu non contempla che si utilizzi lo stesso metodo di cottura per più piatti. Pertanto una preparazione al forno non può apparire più di una volta nello stesso banchetto. Nella cena che ho proposto ai coniugi Marchesi, è stato servito un pesce al forno e pertanto il forno era una carta già giocata. Però, quello a microonde, è definito forno ma solo convenzionalmente, in quanto il principio di cottura è completamente diverso. La cottura tradizionale si basa sul trasferimento di energia da una sorgente di calore all’alimento da cuocere. Pertanto il cibo cuoce perché esposto direttamente a una fonte di calore. L’energia prodotta dalla fonte di calore interagisce con il cibo dall’esterno verso l’interno. È questo la tecnica che ha sempre governato la cottura, dai primordi a oggi. Il microonde, invece, si basa su un principio diverso. Anziché esporre il cibo al calore, questo viene investito da onde a frequenza corta, che sono le stesse irradiate dal sole (raggi ultravioletti, raggi infrarossi). La frequenza delle microonde utilizzate nei forni “bombardano” l’alimento, provocando l’agitazione delle sue molecole d’acqua, dando vita a uno sfregamento che genera calore. Tutto ciò per dire che quando ho passato il Roquefort distribuito su piattini individuali, per qualche secondo nel forno a microonde, ho applicato un metodo di cottura non ancora proposto. Il formaggio ne è uscito leggermente fondente, esattamente come se estratto con largo anticipo dal frigorifero in un giorno estivo. Poche stille di miele al tartufo, ossia miele di acacia aromatizzato con essenza di tartufo bianco d’Alba prodotto dalla Brezzo, hanno completato il piatto. Un dessert salato, anziché dolce.

 

Da
Fabiano Guatteri
L’Arte del Menu
Ponte alle Grazie

2006

 

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