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Dafnis è il mio cavallo. Insieme abbiamo fatto molte esperienze sia nei maneggi di città sia in campagna. Adesso non è più un giovanotto, ma quando lo era saltava gli ostacoli con allegria e ai concorsi non mi ha mai deluso; se me la doveva fare, si esprimeva nelle prove del giorno prima, magari bloccandosi di fronte a un ostacolo, ma in gara mai. Per un certo periodo lo portavo con me in vacanza da Giancarlo e Roberta, in un piccolo maneggio vicino alla mia casetta nell’Oltrepò. Il posto mi piaceva molto, a cominciare dal nome, La Fuga. Si trovava, o meglio si trova, a due passi da Varzi e oggi è diventato un agriturismo. La mattina mi svegliavo verso le sette per fare una passeggiata con lui mentre il sole non era ancora caldissimo, perché già verso le nove diventava insopportabile.

Arrivavo in auto e lui, che riconosceva il rumore del motore era già con la testa fuori dal box e le orecchie ritte. La sua altezza era esaltata dalla vicinanza degli altri cavalli che erano da passeggiata (monta americana). È un Hannover, al garrese è alto 173 cm e non è poco. Gli mettevo la capezza, allacciavo la longhina e lo portavo fuori; lui mi seguiva fiducioso come un cagnolone. Lo pulivo, gli svuotavo gli zoccoli, lo strigliavo, lo spazzolavo, gli mettevo il morso, la sella, le stinchiere, la cuffietta per proteggergli le orecchie da eventuali insetti, poi lo montavo e andavamo a spasso. Il maneggio aveva uno spazio anche per lavorare. A volte lo lavoravo una ventina di minuti, e poi andavamo verso lo Staffora, affluente del Po. L’andatura era al passo, soprattutto nella boscaglia, ma quando uscivamo dalla macchia ci concedevamo una galoppata. Mi piaceva sentirmi nella natura là dove le automobili non potevano arrivare. Ma mi piaceva ancor di più essere con lui, Dafnis.

Tornati al maneggio, lo svestivo, gli facevo la doccia con la canna dell’acqua, lo asciugavo e poi lo lasciavo libero in una paddock che era di fatto un frutteto. Lo lasciavo circa un’ora poi quando il caldo mi sembrava eccessivo per lui, entravo e fingevo di cogliere qualche frutto dai rami; Dafnis allora mi veniva vicino e mi toccava con il muso la schiena. Allora prendevo una prugna e la snocciolavo; lui mi si parava davanti e con le labbra me la prendeva dalle mani. Se gli voltavo le spalle per andare a cercare un frutto su un altro albero, mi seguiva perché sapeva che lo raccoglievo per lui. Poi lo portavo al fresco della scuderia dove rimaneva sino a tardo pomeriggio; allora, quando non faceva più molto caldo, lo prendevo e lo lasciavo libero nel paddock sino all’ora di rincasare. Quella era la quotidianità, ma a volte si organizzavano passeggiate. Partivamo presto la mattina e quando il sole era alto eravamo ormai nel fresco dei boschi. Un giorno la meta era una casetta di legno con un fosso vicino e un’ampia spianata delimitata da una siepe che delimitava un ampio rettangolo. Era a cinque ore di cavallo da Varzi, la strada era in buona parte in salita. Quando arrivammo sistemammo i cavalli che avevano tanta erba verdissima da brucare e preparammo la brace su cui organizzammo un barbecue.

Le bottiglie di vino erano nel fresco del fosso. Mangiammo, bevemmo, e dopo una piccola siesta, rivestimmo i cavalli e cominciammo il percorso di ritorno, seguendo una strada diversa da quella della mattina. Quando il terreno lo concedeva andavamo al galoppo per poi riprendere il passo. Arrivammo alla Fuga verso le 7 di sera; sistemammo i cavalli, bevemmo acqua, poi Giancarlo scese in cantina e tornò con un salame che per le incrostazioni, il profumo e la consistenza doveva avere parecchi mesi. Del resto eravamo in agosto e il mio amico all’epoca insaccava i salami in dicembre. Aprì anche una bottiglia di vino, perché con il salame l’acqua non si abbina. Assaggiando la prima fetta sentii tutto quello che mi aspetterei da questo salume, ma che raramente trovo: la sapidità piena, ricordi di vino, o meglio del sapore che il vino unito nell’impasto conferisce ai salumi, aromi di pepe, sentori vagamente agliacei, ricordi di tartufi, di funghi, di foglie secche, consistenza soda, ma non dura. Insomma non capita tutti i giorni di poter assaggiare un salame così. Qualche fetta e un bicchiere di vino rosso ci rimisero in forze. Poi salutai Dafnis, lo ringraziai, gli diedi qualche carota e un appuntamento per la mattina successiva.

Da
Fabiano Guatteri
Prelibatezze
Fabbri Editore

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