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Chissà a cosa pensò Francesco Paolo Avallone, a pochi anni dalla fine della guerra, nel silenzio della pace ritrovata, quando decise di ridar vita a una storia assopita rinverdendo il mito enologico della romanità attraverso il Falerno, vino tra i più rappresentativi. Forse, in quegli anni difficili, gli ritornarono alla memoria versi di studi classici che riguardavano la sua terra, le colture, la vite.

A raccontarcelo i figli Maria Ida e Salvatore, comproprietari dell’azienda agricola Villa Matilde Avallone  in occasione di un press lunch organizzato dall’agenzia di comunicazione PR Comunicare il Vino al ristorante Rovello 18  di Milano.

Nel corso del meeting i fratelli Avallone hanno presentato alcune delle etichette della loro azienda più ricche di passato. La storia di Villa Matilde, nata negli anni sessanta, in realtà comincia molti anni prima con l’obiettivo di riportare in vita le varietà autoctone del territorio e i grandi vini antichi, a cominciare dal Falerno del Massico. Il fondatore fu Francesco Paolo Avallone, avvocato innamorato della sua terra: ispirato da quanto i classici quali Plinio, Virgilio, ma anche Marziale e Orazio scrissero sul vinum Falernum, decise che avrebbe dovuto fare qualcosa per evitare che il Falerno, grande vino dell’antichità, andasse perduto.

Ritenne, pertanto, che fosse doveroso avviare una ricerca volta all’individuazione delle piante sopravvissute alla fillossera che in Campania aveva devastato e distrutto la quasi totalità del vigneto. Fu, come spiega Maria Ida, una ricerca difficile, ma grazie alla sua caparbietà dopo 15 anni individuò alcune piante. Spinto dall’amore e dalla passione, aldilà di qualsiasi spirito mercantile perché non si aveva proprio idea di quali sviluppi avrebbe potuto avere tale ricerca, attuò il suo progetto cosicché la sua terra potesse proseguire il proprio percorso storico.

E’, questa, una regione nella regione, poco conosciuta, di confine, una sorta di anfiteatro, una conca molto ampia che una volta era denominata Ager Falernus, circondata da un succedersi di rilievi: il vulcano di Roccamonfina, il Monte Massico, parte dell’Appennino meridionale, che formano una barriera a protezione dei venti freddi. Inoltre il respiro benefico del mare giunge sino qui, e garantisce una ventilazione a tutto vantaggio della qualità e della salubrità delle uve in modo che in cantina ci sia molto poco da lavorare perché tutto ciò che si fa nel vigneto viene preservato e custodito. Il mare è vicino: il vulcano di Roccamonfina dista circa otto chilometri e dai vigneti si vede la costa. Il territorio è definito da una diversità di aree. Quelle vicine al mare hanno una composizione più sabbiosa dotata di maggiore salinità. Man mano che ci si avvicina ai monti si incontrano le colline formatesi per la stratificazione eruttiva dell’attività del vulcano di Roccamonfina milioni di anni or sono. Una diversificazione dei terreni di cui i Romani erano a conoscenza tant’è che, in una sorta di mappatura, suddivisero la zona vitata in base alle caratteristiche pedologiche e altimetriche. È una terra mitica e unica che nel tempo è riuscita a portare avanti la propria storia, la propria cultura, vendemmia dopo vendemmia. La costanza di qualità ripetibile nel tempo che definisce la produzione del Falerno era già nota ai Romani ed è questo il segreto del successo del territorio di cui Villa Matilde è depositaria.

In un’illuminante serata del 1985, Maria Ida e Salvatore, assaggiando i risultati della vendemmia, si convinsero che alcuni vigneti rivelassero nel tempo e con costanza caratteristiche diverse dagli altri e che pertanto meritassero di essere valorizzati. Nacquero così Vigna Camarato, nell’85, quindi Villa Caraci nell’89, vini dotati di forte personalità grazie alle peculiarità dei suoli e delle esposizioni delle loro microzone, di fatto dei cru. La valorizzazione delle singole parcelle è proseguita negli anni e ora proprio le nuove generazioni, ossia Maria Cristina, figlia di Maria Ida, e Francesco, figlio di Salvatore, corroborano l’idea di continuare a segmentare il territorio così da enfatizzare ulteriormente i vari vigneti valorizzando l’unicità della zona.

Il Falernum nasce  2500 anni fa da uve portate dai coloni greci. Questi colonizzarono buona parte del Sud Italia ossia la Magna Grecia. Arrivarono in questa parte della Campania approdando prima a Ischia, poi da lì sbarcarono sulla costa, quindi gradatamente si spostarono nell’entroterra della regione mettendo a dimora i vigneti, come in tutti i territori in cui la viticoltura greca è arrivata dal mare.

I vitigni ereditati sono la bianca falanghina e il rosso aleatico. Di quest’ultimo va detto che la varietà aziendale si differenzia dalle altre di territori freddi, rocciosi. Qui siamo una zona più calda, in parte marittima e vulcanica. Gli aglianico dell’Irpinia sono più austeri e chiusi, più difficili al primo impatto. Questo Aglianico, invece, come spiega Salvatore Avallone, oltre a rappresentare il territorio, ne rispecchia la gente, la suadenza, la capacità di affabulare, la capacità di convincere e di farsi comprendere: con note persuasive, dolci, marine riproduce tutto l’esprit del territorio vulcanico.

Il Falerno della Roma antica era una sorta di salsa balsamica ora riproposto ricco di 2500 anni di evoluzione, di competenze tecniche, ma utilizzando ancora le anfore per garantire un continuum storico con l’antichità.
Fu proprio Francesco Paolo Avallone a volerle anche se però non avendo all’epoca le conoscenze tecniche attuali, i risultati non erano propriamente entusiasmanti. Ma l’anfora non è mai stata abbandonata, e oggi si rivela uno strumento capace di dar voce al territorio di produzione e il suo uso si è perfezionato, così come l’intero processo di vinificazione.

Villa Matilde Avallone si estende su 110 ettari, di cui 70 vitati, nel territorio dell’Ager Falernus, lungo le pendici del vulcano spento di Roccamonfina, nell’area più a nord della provincia di Caserta. Matilde era il nome della moglie di Francesco Paolo il quale a lei dedicò l’azienda in quanto di fatto supportò la sua ricerca.
Qui sono prodotti i vini in degustazione

Falerno del Massico 2020  (foto 2)
È prodotto unicamente con uve falanghina lasciate criomacerare per conferire maggiore complessità al vino. Dopo la pressatura soffice ha luogo la fermentazione a temperatura controllata in acciaio mentre il 15% della massa fermenta in anfora di terracotta. Dopo 3 mesi il vino delle due partite è elevato in acciaio per altri 3 mesi. Segue l’affinamento in bottiglia.

Note gustative
Nel calice riflette colore giallo paglierino.
Al naso profumi fruttati di pesca, albicocca, mango e note agrumate che si confondono con sentori di ginestra.
In bocca la pienezza di gusto data anche dall’impiego dell’anfora, completa un sorso vellutato, comunque fresco, con evidente tono salino, elegante, lungo.

Abbinamenti
Tartare di ricciola, spaghetti alle vongole veraci, pesce spada grigliato

Falerno del Massico Vigna Caracci 2017  (foto 3)
Falerno, Vigna Caracci è il cru di Falerno della Maison. Dopo la criomacerazione e la pressatura soffice, la fermentazione del solo mosto si svolge in anfore di 150, 300 e 500 litri, mentre una piccola parte è destinata ad acciaio e barrique. Il vino, dopo tre mesi sur lie, prosegue il proprio affinamento in bottiglia.
Note gustative
Colore è giallo paglierino caldo con riflessi dorati.
Profumo fruttato con ricordi di mela, di banana, di pera e note vanigliate
Gusto maturo, suadente, caldo per l’apporto della terracotta, vellutato, sapore di nocciola tostata; marcata sapidità e con reminiscenze di vaniglia.
Abbinamenti
Tartare di manzo, ravioli di faraona, paillard.

Falerno del Massico Rosso 2017 (foto 4)

Prodotto con uve aglianico completate con piedirosso (20%) utilizzato tradizionalmente per attenuare le aggressività dell’aglianico. L’Aglianico è detto Barolo del sud, e come il Barolo è ricco di tannini, ottima acidità e grande serbevolezza ma, soprattutto in gioventù, è un po’ brusco e le uve piediosso ne smussano le asperità oltre ad arricchirne il quadro aromatico complessivo.
Le uve sono pigiadiraspate, segue la macerazione sulle vinacce a temperatura controllata per circa 20-25 giorni. Dopo la fermentazione hanno luogo  rimontaggi e délestage. Il vino svolge la fermentazione malolattica quindi il 50% affina in barrique di Allier, il restante matura in botti di rovere di Slavonia di 10 e di 35 hl per 10-12 mesi. Il vino assemblato affina quindi in bottiglia.

Note gustative
Il colore è rosso profondo
Profumo di frutta estiva matura, con ricordi di ciliegia e di lampone, e sfumature di viola, note speziate.
Sapore fruttato, pieno, complesso con note speziate; tannini morbidi e sorso lungo.

Abbinamenti
Tagliatelle al ragù, carni arrosto, anguilla alla brace.

Falerno del Massico Vigna Camarato 2011 (foto 5)
Il vino viene prodotto unicamente nelle annate migliori con uve di un vigneto tra i più vecchi e meglio esposti situato alle falde del vulcano Roccamonfina. I grappoli di uve aglianico (80%) e piedirosso, sono pigiati delicatamente, quindi il mosto macera sulle vinacce per 20-25 giorni cui fa seguito la fermentazione malolattica in barrique. Il vino è poi elevato in barrique di Allier di vari passaggi, quindi affina in bottiglia per 12-18 mesi.

Note gustative
Rosso profondo, quasi impenetrabile.
Al naso sentori di piccoli frutti freschi e in confettura cui si uniscono profumi di cioccolato, liquirizia e sfumature speziate dove si evidenzia il pepe nero.
In bocca è caldo, potente, concentrato, complesso, seducente per la trama tannica domata, la freschezza matura che percorre la bocca fornendo eleganza e lunghezza al sorso.

Abbinamenti
Pappardelle al sugo di lepre, brasato di manzo, formaggi di lungo affinamento

Conclusioni
A prescindere dall’encomiabile lavoro di recupero di vitigni destinati in parte all’estinzione, e al ricongiungimento ideale con i vini dell’antichità, dalle referenze degustate si evince la capacità dell’Azienda di evidenziarne la struttura, con tecniche enologiche ad hoc. Infatti la criomacerazione e l’impiego di anfore non solo valorizzano la pienezza dei bianchi in un armonioso rapporto acidità-alcolicità, ma forniscono anche un timbro di riconoscibilità in termini di ampiezza gustativa e territorialità. I rossi, a loro volta, esprimono tutta la loro pienezza, grazie ovviamente al carattere del vitigno, ma anche al passaggio in botti di differenti capacità, barrique comprese; passaggio che sottolinea la potenza del vitigno in quanto il legno fa da sfondo alle caratteristiche dell’aglianico esaltandone la centralità senza interferenze di sorta. Sono vini solari, capaci di coniugare la concentrazione con la bevibilità.

Nella foto 6 Maria Ida e Salvatore Avallone.

I piatti in abbinamneto  ai vini Falerno proposti dal ristorante

Prosciutto crudo di maiale nero su pane (foto 7)

Tartare di Fassona al coltello (foto 8)

Tagliatelle al ragù di salsiccia di Bra (foto 9)

Coniglio  disossato negà con putè (foto10)

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