Valle di Mezzane si trova nel Veronese, tra la Valdadige e il confine provinciale orientale. È una realtà vitivinicola con caratteristiche proprie che differiscono da quelle della restante area, tant’è che i produttori locali da anni sostengono la necessità di riconoscerla come sottozona della DOC Valpolicella di cui la valle fa parte. E a tal proposito, nello scorso mese di novembre hanno organizzato un convegno degustazione dal titolo “nero su bianco” in riferimento alla composizione dei suoli, per ribadire la specificità del loro territorio.
Occorre in merito ribadire che a determinare le caratteristiche di un vino non sono solo il vitigno e le pratiche enologiche adottate. Sono infatti imprescindibili altri fattori quali l’esposizione dei vigneti, le caratteristiche morfologiche, la collocazione geografica, il terreno, il clima.
Ciò spiega perché in numerose zone vitivinicole DOC, sono delimitate alcune sottozone proprio perché si differenziano dal restante territorio. E in tale importanza credono tredici produttori di vini doc Valpolicella e/o Soave della Valle di Mezzane che per meglio identificarsi si definiscono Vignaioli Valle di Mezzane (li abbiamo presentati qui).
Le tredici Aziende Agricole sono accomunate, oltre che dalla stessa valle di appartenenza, dal fatto che vinificano esclusivamente le uve da loro prodotte e non altre. Per approfondire la conoscenza del proprio territorio allo scopo di valorizzarlo e interpretarlo al meglio hanno realizzato la Carta dei Suoli della valle affidando lo studio al pedologo Giuseppe Benciolini, già autore di mappature simili.
Attraverso la valorizzazione e lo studio della viticoltura il gruppo di vignaioli sostiene e sollecita il Consorzio di Tutela Vini Valpolicella nel progetto di definizione di sottozone nella DOC Valpolicella che conta 8.617 ettari di vigneto, in aree che rispecchiano la morfologia del territorio, i differenti climi e suoli. La creazione delle sottozone permette di migliorare il valore intrinseco della vallata e quindi di poterlo comunicare. In merito all’opportunità di istituire le sottozone Marco Sartori, che con la sorella Francesca gestisce l’azienda familiare Roccolo Grassi, spiega che il gruppo dei vignaioli crede nell’opportunità di istituire le sottozone per meglio raccontare l’intimità della valle che è quello che fa già perché è della propria vallata che parla al mondo. “A cavallo della Valpolicella e del Soave” spiega Sartori “abbiamo intitolato questo convegno ‘nero su bianco’, in riferimento ai colori dei suoli vulcanici e calcarei che costellano la Valle di Mezzane e alla volontà del Gruppo di fissarne le espressioni con i loro vini.”
I Vignaioli Valle di Mezzane credono nell’opportunità di definire il proprio territorio considerato che è un percorso intrapreso da molte altre realtà nazionali. Ciò permetterebbe di raccontare la propria denominazione in maniera più precisa. Sarebbe importante per il piccolo produttore, precisa ancora Sartori, in quanto questi lavora sulle sue uve, conosce tutte le caratteristiche delle sue parcelle, e nel vinificare porta nella bottiglia tutte queste particolarità dando un segnale identitario, di riconoscibilità.
Giuseppe Benciolini, come anticipato, è l’autore della Carta dei Suoli, realizzata in scala 1 a 10 mille e di 13 carte dei vigneti, una per ogni azienda. I terreni che derivano dalle millenarie alterazioni e modellamenti delle rocce, ne riflettono le caratteristiche e costituiscono un suolo caratterizzato da un mosaico variegato e originale. Alcune delle aziende sono caratterizzate dalla prevalenza di un solo componente, per esempio il calcare, altre includono tutti i tipi di terreno presenti.
Christian Marchesini, presidente del Consorzio, ha spiegato che attualmente nella DOC Valpolicella esiste già una sottozona, la Valpantena, e che si delimiteranno altre valli in un percorso di inclusione. Le sottozone permettono di raccontare oltre ai vini i territori, ciascuno con proprie caratteristiche ambientali. Nel caso della DOC Soave, il lavoro di definizione delle Unità Geografiche Aggiuntive (UGA) è iniziato da alcuni anni, ma necessita ancora di maggiore precisione. Cristian Ridolfi, presidente del Consorzio Tutela Soave, ha spiegato che attualmente ci sono 33 UGA, alcune delle quali coincidono con cru storici, ma il processo è ancora alle prime fasi. Ridolfi sottolinea che non è facile descriverne le caratteristiche, anche perché non sono ancora formalmente definite nel disciplinare. Per completare il lavoro, sarebbe utile andare oltre gli aspetti legati al suolo e al clima, includendo le tradizioni produttive che rendono queste zone interessanti da raccontare. Infatti, sono le attività umane a fare la vera differenza, anche in luoghi naturalmente belli.
Angelo Peretti, giornalista e scrittore è entrato nel merito della degustazione quale mezzo per identificare i tratti comuni dei vini qui prodotti. Ha prima precisato che nella Valle di Mezzane si sovrappongono le aree vinicole valpolicellese e soavese e sette DOC, quattro della Valpolicella e tre del Soave. All’interno di ogni denominazione vi sono interpretazioni stilistiche molto diverse perché alcuni vinificano uve fresche, altri più mature e altri ancora appassite. Inoltre non si può definire in maniera univoca il suolo all’interno della Valle. Dal lavoro fatto da Benciolini risulta infatti che ci sono suoli di matrice sia calcarea, sia vulcanica (il bianco e il nero) e questo complica le cose. Data questa enorme frammentazione colturale, stilistica, produttiva, pedologica, geologica, Peretti si chiede come sia possibile, trovare una identità tra vini così diversi, addirittura tra bianchi e rossi. “Come trovare una matrice identitaria?” Del resto se non si trova una qualche identità comune tra vini prodotti in un territorio specifico non si può oggettivamente parlare della sussistenza di una sottozona “la quale deve essere trasversale a tutte le produzioni locali a prescindere dal punto di vista legislativo, normativo, regolamentare”. Occorre quindi trovare l’identità a prescindere dai suoli, dai vitigni, dal colore, dalla tecnica di vinificazione.
Cos’hanno in comune un Soave e un Amarone? Non è facile dare una risposta, se mai si possa dare, soprattutto se si utilizza un approccio che definiamo classico che cioè fa leva su vista, olfatto e palato, cercando la corrispondenza visivo-aromatica. Seguendo questo approccio è molto difficile, se non impossibile, arrivarci. “Per arrivarci potremmo iniziare a tracciare un itinerario che ci porti a capire che cosa sia l’identità” spiega Peretti. Può essere determinata da fattori umani, tecnico produttivi, gustativi e quindi bisogna cercare cosa è che accomuna il brand, ossia la Vallata, i produttori di vino e i consumatori. Supponendo anche che nei produttori si trovino degli elementi comuni, se questi non vengono percepiti immediatamente da chi il vino lo compra allora non c’è identità, ma solo “esercizio di stile”.
Ci sono due scuole di degustazione, spiega Peretti, delle quali una, quella bordolese, è dominante. Tale scuola si basa sugli aspetti sensoriali – visivi, olfattivi e gustativi-, e in particolare sui descrittori aromatici, ossia su specifici sentori fruttati, floreali o terziari. L’altra scuola è di matrice borgognona: si differenzia da quella bordolese in quanto non ricerca elementi identitari aromatici, ma valuta la parte tattile del vino ossia l’equilibrio fra la freschezza, la sapidità e la piccantezza data dalle spezie (non l’aromaticità). Ossia ricerca ciò che incide sul palato e che non è un descrittore aromatico. La classificazione dei cru della Borgogna, che è tra le più minuziose, si basa su questo metodo. L’analisi olfatto gustativa bordolese serviva soprattutto per individuare i difetti, portava cioè i négociant a scartare i vini difettosi. Ed è quello che succede con le commissioni di degustazione delle DOCG per valutare se il vino aderisce o no ai descrittori del disciplinare. Peretti ricorda ancora che il professor Paolo Mantegazza autore della Fisiologia del piacere editato nel 1854, afferma che tra tutti i sensi l’olfatto (fondamentale nel metodo bordolese) offre il piacere più scarso e fugace. E ancora prima, Cartesio nel 1630 sosteneva che il tatto è il meno ingannevole, anzi il più certo, tra tutti i nostri sensi. Le sensazioni tattili rimangono pressoché costanti anche al variare delle percezioni aromatiche e delle tecniche di vinificazione e di affinamento, come dimostra l’esperienza borgognona consolidata da secoli. È stata quindi proposta una degustazione di 13 referenze, una per produttore, sia di bianchi sia di rossi, in cui i vini sono stati analizzati a livello tattile per verificare tratti comuni tenendo unicamente in considerazione, come detto, acidità, salinità e piccantezza. Per poter dare valore scientifico all’esperimento ovviamente si sarebbe dovuti analizzare molto più vini, e anche quelli delle zone circostanti per verificarne le differenze. Ma come detto da Peretti, si tratta di intraprendere un itinerario, non verificare in modo esaustivo un’ipotesi in quanto la degustazione voleva essere solo un approccio e pertanto non di possono trarre conseguenze. Va però detto che nei vini degustati spiccano la sapidità più o meno accentuata, la freschezza acida e la piacevole piccantezza della speziatura.
Per concludere, dopo l’esperienza della degustazione ci verrebbe da ritenere il metodo bordolese una sorta di analisi grammaticale del vino mentre quello borgognone lo assoceremmo all’analisi logica, alla sintassi del vino. “Sintassi” che, al contrario dell’”analisi grammaticale”, non cambia con il mutare del colore o dei profumi del vino.
I vini degustati
1- Soave Balinda 2023, Benini Alessandro; 2- Soave Fienile 2023, Camerani Marinella; 3- Soave 2021, Carlo Alberto Negri; 4-Soave Broia 2022, Roccolo Grassi.
5-Valpolicella Superiore 2020, Grotta del Ninfeo; 6-Valpolicella Superiore Determinazione 2021, Talestri; 7- Valpolicella Superiore Sol Aria 2020, Il Monte Caro; 8- Valpolicella Superiore Profasio 2020, Massimago.
9-Valpolicella Superiore 2018, Falezze; 10- Valpolicella Superiore 2014, Le Guaite di Noemi; 11- Valpolicella Superiore Prognài 2017, Ilatium Morini; 12- Valpolicella Superiore 2016, Le Cesete; 13- Valpolicella Superiore 2018, I Tamasotti.