La cena nippo-mediterranea di Sine e Nobu
Roberto Di Pinto chef nonché patron del ristorante Sine ha inaugurato il calendario di cene a quattro mani con gli chef di alcuni dei migliori ristoranti asiatici della città.
Nella prima, tenutasi il 27 giugno, ha ospitato Antonio D’Angelo executive chef dal 2019 di Nobu Milano.
Insieme i due chef (da sinistra Di Pinto e D’Angelo) hanno dato vita a un menu che potremmo definire nippo-mediterraneo. Va detto che Di Pinto ha lavorato presso Nobu Milano nel 2010, conosce l’Oriente, compie frequenti viaggi in Giappone e conseguentemente possiede una solida conoscenza della cucina nipponica che però, come ama precisare, pone al servizio della sua italianità o meglio, della sua napoletanità.
L’aspetto qualificante, a nostro avviso, della cena è che i cuochi sono riusciti a parlare la stessa lingua, hanno cioè lavorato alle proprie portate intessendo la stessa trama.
Il protagonista è stato di fatto il gusto umami riprodotto con approcci diversi: quello D’Angelo, in stile nipponico, ha visto l’impiego di salsa di soia, miso, alghe, mentre Di Pinto ha utilizzato colatura di alici, Parmigiano Reggiano lungamente stagionato…
Però non bisogna credere che la cucina di D’Angelo sia giapponese ortodossa, perché a sua volta fa ricorso a contaminazioni quanto meno occidentali. Per esempio nel delicato ed elegante Branzino umami-jime, ha utilizzato jamon serrano, ossia il prosciutto crudo iberico, sia pure in polvere, per sostenere il sapore umami della portata accompagnata da gazpacho e chutney di tomatillo e condita con olio allo shiso.
Ma vorremmo soffermarci su un altro piatto del menu, che è tra i più rappresentativi di Sine, la Parmigiana Espressionista. Di Pinto la realizzò per assecondare le richieste di un’ospite vegana, e soddisfatto della riuscita, successivamente lo integrò con Parmigiano Reggiano per conferire maggiore pienezza di sapore e lo inserì nella carta: miso di pomodoro e formaggio conferiscono sapore umami. Piatto nippo-mediterraneo che oltre al miso utilizza un metodo di cottura delle melanzane giapponese che consiste nel tenerle in acqua ghiacciata per mezza giornata per poi friggerle a 160 °C, perché non assorbano olio. La copertura nera e lucida è ottenuta miscelando olio extravergine d’oliva con polvere di carbone ottenuta dalla buccia della melanzana stessa, copertura che viene incisa… come un quadro di Lucio Fontana
Passiamo al côté giapponese. Il Sushi può essere una portata estremamente banale, oppure rappresentare piccoli saggi di alta cucina ed è questo il nostro caso. Tre pezzi: nigiri con carne wagyu scottata con carbone giapponese che è aromatico, poi laccata e completata con caviale; nigiri di ricciola maturata per una settimana in frigorifero dove si rassoda, poi marinata un giorno in una salsa di soia dolce, e completata con mostarda di prugna giapponese; ciotolina con riso, abalone cotto in pentola a pressione, gel di yuzu, completato con uova di salmone e polvere di alga nori.
Di grande piacevolezza il Raviolo di Wagyu, cipolla caramellata, salsa pera Nashi, salsa di zucca e burro al tartufo. Il sapore del ripieno è intenso dato dalla presenza, oltre che della carne, del miso, del Parmigiano Reggiano di 24 mesi di stagionatura e della cipolla caramellata così da ottenere un gusto umami dichiarato che tende al morbido, alla dolcezza.
Ancora di D’Angelo la Palamita poché, brodo kaeshi e verdure di stagione croccanti: il brodo è sostanzialmente dashi, ossia ottenuto da alga kombu per cui pura essenza di umami, arricchito con salsa di soia e mirin. La palamita è simile al tonno e ha carni particolarmente tenere, talvolta fondenti.
Di Pinto conclude la sezione del menu dedicata ai piatti salati con Capitone arrostito, foie gras, mandorla e mela verde. Lo chef ha spiegato che il capitone, ossia la femmina dell’anguilla, più grossa e saporita del maschio, a Napoli è immancabile alla vigilia di Natale. Coerente con quanto precisato inizialmente, ossia che tutto il suo sapere culinario è funzionale alla sua cucina partenopea, qui ne ha fornito un saggio: il capitone è cioè trattato come l’anguilla alla giapponese kabayaki ma in luogo di ingredienti quali salsa di soia e mirin, impiega colatura di alici, saba, aceto balsamico, vino rosso; il pesce è cotto a bassa temperatura e affumicato. Coprotagonista del piatto una scaloppa di foie gras. Il sapore che nasce da questo connubio è decisamente ampio, articolato, dove sono presenti, sia pure con intensità diverse, tutti e cinque sapori ossia salato, dolce, umami, ma anche una nuance acida data dal vino quindi la nota amarognola finale del foie gras. Per rinfrescare il palato sorbetto alla mela verde. Piatto indimenticabile.