Quando si parla di bollicine spesso si pensa per associazione alle grandi zone spumantistiche concentrate nell’Italia del nord. Ma è riduttivo perché spumanti se ne realizzano in tutta Italia, e con successo. E’ il caso di quelli prodotti con le uve allevate sulle pendici dell’Etna che quest’anno, nonostante la pandemia, hanno visto un incremento delle vendite del 30% per un totale di 160 mila bottiglie, numeri piccoli se vogliamo, ma non dimentichiamoci che la zona è a sua volta poco estesa. Ciò che premia le bollicine etnee è la qualità e si parla di Metodo Classico “vinificato in bianco” e “rosato”.
Ma mentre chi utilizza questo metodo di spumantizzazione che prevede la rifermentazione in bottiglia, si basa , salvo eccezioni, su vitigni internazionali, ossia chardonnay, pinot bianco, pinot nero”, nel caso dei vini Etna Doc, tutelati dal Consorzio di Tutela Vini Etna Doc, si utilizzano vitigni autoctoni, come il nerello mascalese che dal 60 % previsto dall’attuale disciplinare, passerà all’80% dell’uvaggio.
Ciò perché il Consorzio vuole ancorare maggiormente queste bollicine al territorio. Il nerello, in particolare, si è rilevato un vitigno vocato alla produzione spumantistica grazie all’elevata acidità, indispensabile per la produzione di bollicine, e la bassa concentrazione di colore.
Ma è intenzione del Consorzio di introdurre tra i vitigni anche un’altra uva locale, il carricante varietà a bacca bianca dotata di caratteristiche ideali per la produzione di Metodo Classico.
Per completezza di informazione il disciplinare prevede che la rifermentazione in bottiglia richieda almeno 18 mesi.
Gli spumanti Metodo Classico Etna Doc sono eleganti, minerali, complessi, profondi, identitari e, nelle annate più felici, di notevole longevità.