Questa volta il nostro racconto non verterà solo sulle quattro diverse cantine visitate tra le denominazioni del Collio, dei Colli Orientali e dell’Isonzo, ma sul percorso fatto con le diverse figure di Diversity Ark a osservare nelle vigne le diverse specie botaniche, la biodiversità animale degli insetti, la tipologia dei suoli differenti a seconda delle denominazioni. È stato un po’ come osservare il tutto da un punto di vista non usuale e poco conosciuto. Dopo una presentazione di chi sono i componenti di questo team, i loro principi cardine, le azioni necessarie per ottenere la loro certificazione, passeremo a raccontare una a una le quattro realtà, da Gradis’Ciutta a Tenuta Stella nel Collio, da Meroi nei Colli Orientali del Friuli a Luisa nell’Isonzo, scegliendo un loro vino simbolo.
L’approccio Diversity Ark contribuisce a migliorare e salvaguardare il paesaggio
Nata nel 2022 con l’obiettivo di sensibilizzare agricoltori e consumatori sulle pratiche da adottare in campo agricolo all’insegna di una salute capace di coniugare ambiente, animali e persone, Diversity Ark costituisce un nuovo Marchio di Certificazione innovativo e agile, che si approccia all’agricoltura con una nuova visione: tutelare la biodiversità presente in natura per evitare che l’ecosistema venga irreparabilmente alterato dall’intervento dell’uomo. La certificazione si basa su una valutazione dell’agro-ecosistema delle aziende agricole con l’obiettivo di permettere loro di migliorare la gestione dei propri terreni e, quindi, di ottenere una maggiore qualità ed eccellenza nelle produzioni. Di grande rilievo anche la necessità di osservare un innovativo e rigido disciplinare di produzione che, tra l’altro, vieta l’uso di diserbanti e sostanze sospettate di provocare il cancro nelle persone impegnate nei lavori agricoli. Una certificazione che è dunque garanzia per il consumatore – che avrà la certezza di acquistare un prodotto coltivato nel rispetto ambientale – ma anche mezzo per il produttore per acquisire sempre maggiore consapevolezza sugli effetti della propria attività.
Da sinistra a destra Stefano Zaninotti, Stefano Amadeo, Luigi Vignaduzzo
Sono tre i principi cardine da cui sono partiti Stefano Amadeo e Stefano Zaninotti oggi alla guida della certificazione, insieme all’amministratore Luigi Vignaduzzo: rigoroso rispetto della biodiversità espresso attraverso un approccio olistico all’agricoltura, ovvero la concezione che ogni intervento fatto in questo ambito si ripercuote inevitabilmente sull’intero sistema: ciò che viene immesso nel suolo non solo altera le funzioni del terreno, ma alla lunga si ripercuote anche sull’uomo, con effetti potenzialmente drastici. Ciò a cui si ambisce è la tutela a tutto tondo degli elementi che si interfacciano con il processo agricolo, dallo stato di benessere dei suoli alla certificazione della biodiversità faunistica dell’appezzamento e della ricchezza di morfospecie. Altro tassello fondamentale della loro realtà è l’utilizzo di un metodo scientifico attraverso analisi condotte sia in laboratorio, ma soprattutto in campo, eseguite con costanza e precisione durante tutto l’arco dell’anno; l’ultimo punto è legato alla parte burocratica, dove si è cercato di snellire il più possibile le procedure per le aziende aderenti.
“Ark simboleggia un chiaro riferimento all’arca di Noè, il primo esempio positivo di salvataggio per tutte la specie viventi, uomini e animali, e nel nostro caso anche di piante. Diversity invece sta a indicare il bisogno di vari elementi nell’ecosistema, perché la vita continui a fare il proprio corso è necessaria la sopravvivenza di tutti, ogni organismo è indispensabile per l’equilibrio e la vita di tutti gli altri” – Stefano Amadeo, fondatore Diversity Ark. Sostenendo che “L’affermazione di Gary Snyder “La natura non è un posto da visitare. È casa nostra” ha confermato le nostre scelte”.
Proseguendo “Durante gli anni di collaborazioni con aziende agricole, cantine, e realtà legate al mondo agricolo, sia a livello nazionale sia internazionale, abbiamo notato delle lacune o delle incongruenze nelle certificazioni già esistenti o, semplicemente, degli aspetti che potevano essere approfonditi o migliorati. Così abbiamo pensato di proporre qualcosa che davvero facesse la differenza, prendendo le parti della natura e cercando di allontanarci da una visione antropocentrica dell’agricoltura. Le proposte sono ambiziose, ma arrivano in un periodo storico in cui avere una visione lungimirante sugli effetti che l’uomo ha sulla natura non è più un’opzione, è una necessità per noi e per le generazioni future” – sostengono Stefano Amadeo e Stefano Zaninotti, fondatori di Diversity Ark.
È dunque a partire dall’esperienza da loro maturata che con lungimiranza e approccio pionieristico, hanno deciso di creare una nuova certificazione. Essa nasce dalla volontà di intervenire proprio laddove altre aziende sono carenti, trasformando le criticità degli altri nei loro maggiori punti di forza.
I lombrichi sono gli architetti del suolo e favoriscono la fertilità biologica
L’operato di Diversity Ark viene perseguito da loro con un costante occhio di riguardo per la qualità. Il principale punto di arrivo della certificazione è proprio il miglioramento del prodotto finale e del suo processo, e ciò viene raggiunto attraverso un percorso virtuoso che vede protagonisti azienda, certificatore e consumatore finale. I punti su cui si focalizzano gli sforzi dei due agronomi riguardano più parti del processo legato all’ottenimento della certificazione, da quella più burocratica e gestionale, a una parte più pragmatica, legata all’intervento negli appezzamenti, tutto questo unito al costante supporto e formazione dell’agricoltore.
Le linee guida per poter ottenere la certificazione sono definite da un rigoroso Disciplinare, dove ogni articolo è pensato in ottica di una concezione olistica dell’agricoltura e mirato a coniugare le esigenze delle cantine con i più alti standard agro-ecologici. Per questo, in aggiunta alle analisi agro-ecologiche sopradescritte, Diversity Ark ritiene necessario, attraverso il Disciplinare, vincolare l’azienda a una serie di pratiche agronomiche-gestionali, volte ad un miglioramento della biodiversità e a un maggiore rispetto della salute dell’ambiente e dell’uomo.
Tra i requisiti indicati emerge in primis l’impegno che deve essere garantito dall’azienda di far svolgere i controlli sulla biodiversità. All’azienda aderente si chiede poi di dimostrare che, nella gestione fitosanitaria, siano seguiti i seguenti approcci (già comunque previsti dalla Direttiva 128/2009) sull’uso sostenibile dei fitofarmaci: monitoraggio in campo delle soglie di intervento, applicazione di strategie integrate e/o biologiche, utilizzo di modelli previsionali, utilizzo di stazioni rilevamento dati climatici.
Anche in coltivazioni come il frumento Diversity Ark riesce a fare emergere la Natura
Al divieto di utilizzare prodotti fitosanitari o fertilizzanti che possano essere nocivi alla salute dell’uomo, il Disciplinare aggiunge quello di utilizzare agrofarmaci con azione erbicida, in particolare per la gestione della sottofila, ma da intendersi per qualsiasi altra superficie dell’azienda. Si deve inoltre impegnare ad applicare tecniche conservative per prevenire l’erosione e la perdita di sostanza organica. Una particolare nota di merito del Disciplinare, che rende questa certificazione un unicum nel panorama nazionale, è l’attenzione che viene data alle microplastiche presenti in vigneto, come quelle dei laccetti per legare la vite nella fase vegetativa. L’obiettivo è una riduzione di questo materiale nel lavoro quotidiano, con la raccolta dei residui plastici già presenti e l’utilizzo di materiali biodegradabili o riciclabili.
Ulteriore segno distintivo di Diversity Ark, che si inserisce ancora una volta nel citato percorso virtuoso alla base di tutto il progetto è l’impegno, stabilito dallo stesso Statuto, che l’azienda si prefigge di versare almeno il 5% degli utili per attività no profit, come progetti di sviluppo, formazione e sensibilizzazione legati a tematiche agro-ecologiche.
È dunque uno sguardo al futuro, quello di Diversity Ark, che agisce però sul presente: la certificazione non è solo un insieme di azioni per la tutela per il territorio, ma un vero e proprio percorso formativo dell’agricoltore: egli viene educato, anche attraverso dei corsi, a prendersi cura del proprio terreno, non solo in un’ottica produttiva ma in un’ottica di rispetto.
Gradis’Ciutta: vigneto
Gradis’Ciutta – Nel cuore delle colline del Collio, c’è un luogo magico dove la passione per il vino s’intreccia con la bellezza del paesaggio. È qui che questa azienda vinicola, guidata da Robert Princic, in cui sostenibilità, tradizione e sperimentazione sono le chiavi di lettura di questa realtà con sede in località Giasbana a San Floriano del Collio con circa 50 ettari di vigneti in collina. Robert è partito dalle viti che furono del nonno, prima, e del padre, poi, investendo il suo sapere, le sue energie e le sue risorse con un’infinita passione per questa terra e per il suo marchio, la cui storia s’intreccia a doppio filo con quella di questa parte del Friuli Venezia Giulia e con la vicina Slovenia.
Bràtinis Collio Bianco Doc 2020, portabandiera da anni, è stato il vino icona scelto dall’azienda per celebrare, nel 2023, i propri 25 anni di storia, traguardo celebrato anche attraverso un restyling dell’etichetta in cui il verde, scelto come colore di fondo, ricorda la connessione profonda con la natura. Ottenuto in questo millesimo da un blend di Pinot Grigio, Chardonnay, Sauvignon e una piccola percentuale di Riesling, prende il nome dalla località in cui crescono le uve, un rilievo a 200 metri d’altitudine nelle vicinanze della cantina. Nel suolo dei vigneti si trova la tipica ponca, l’alternanza di arenaria e marna, che conferisce ai vini una sapidità accentuata. Dopo una pressatura soffice, una fermentazione parte in acciaio e parte in legno, un affinamento sur lieviti in acciaio, rimane in bottiglia per un anno prima di essere presentato. Esordisce nel calice con un colore giallo paglierino brillante. Il naso è giocato su spiccati sentori fruttati di pesca, albicocca, per poi sfumare sul floreale. All’assaggio ha un ingresso intenso dalla progressione equilibrata, essendo al sorso sapido, fresco e persistente.
Tenuta Stella: cantina e vigneti
Tenuta Stella – Questa tenuta sita a Scriò, nel comune di Dolegna, nella parte più alta del Collio, circondata dalle montagne ma vicino al mare, accarezzata dalla bora e dalle correnti fresche, nasce in un territorio che sembra creato apposta per la viticoltura. Qui Sergio Stevanato ha dato vita a un’azienda la cui produzione vinicola è basata quasi esclusivamente su vitigni autoctoni friulani, capaci di esprimere vini mai scontati e soprattutto in grado di raccontare, a ogni sorso, la ricchezza del territorio da cui prendono vita. A condurre l’azienda sono Alberto Faggiani, agro tecnologo, responsabile della produzione enologica ed Erika Barbieri, enologa, responsabile tecnica, marketing manager di Tenuta Stella. Qualità e autenticità sono le parole chiave che guidano la produzione e la sua attività sin dalla sua nascita nel 2009, legate a doppio filo a un approccio sostenibile, mirato a conservare il prezioso ecosistema in cui l’azienda vinicola sorge, a una produzione biologica che non sia impattante e non preveda quindi il ricorso a pesticidi o concimi chimici nei suoi 5 ettari iniziali. Nel 2018 sono stati acquisiti altri 5 ettari di terreno, dando priorità a varietà autoctone, e creato il nuovo centro di vinificazione. Infine, nel 2022, altri 5 ettari di terreno in collina, sono stati annessi alla tenuta. Tutte le vigne sono circondate da diversi boschi nei restanti 23 ettari, anche questi di proprietà.
Abbiamo scelto di proporre la Ribolla Gialla Riserva Collio Doc 2020. Macera sulle bucce per 30 giorni e fermenta con lieviti indigeni in botti di legno francese per 25 giorni, poi affina in tonneaux di secondo passaggio per 12 mesi e ulteriori 10 mesi in botte. Dopo un colore ambrato intenso con riflessi dorati, ha al naso intenso prima note di albicocca disidratata, buccia d’arancia, poi seguiti da frutta candita, miele, un tocco di fiori secchi, per finire con note leggere di liquirizia e vaniglia. Al palato è secco, fresco, intenso, ricco di aromi, di decisa persistenza con un retrogusto giocato su agrumi e miele.
Meroi – L’azienda agricola Meroi fu fondata nel 1920 da Domenico Meroi, bisnonno dell’attuale proprietario, a Buttrio. Agli inizi del ‘900 Domenico fondò l’azienda a partire dalla storica vigna di famiglia. A Domenico (il suo diminutivo era “Dominin”) sono succeduti, negli anni, il figlio Attilio e il nipote Davino. Paolo Meroi proseguì l’attività iniziata dal bisnonno, imbottigliando a fine anni ‘80 per la prima volta il vino di famiglia, fino ad allora venduto sfuso, e arrivando a coltivare oggi circa 20 ettari di vigne sulle colline di Buttrio. Nel 2007 l’azienda acquistò il vigneto Zitelle, ex proprietà dell’antico Ordine di Suore delle Zitelle, per lungo tempo presente in quel comune. Ricavato da una vecchia cava di argilla, il vigneto va ad aggiungersi al Dominin, vigneto storico di famiglia.
Il vino che scegliamo di recensire è Zitelle Durì Friuli Colli Orientali 2022, ottenuto da Malvasia coltivata su suoli limosi-argillosi ricchi in ferro, magnesio e sodio. In cantina dopo la pressatura soffice delle uve, un affinamento di 10 mesi in barriques di rovere francese (con il 30% di legno nuovo), sosta poi per 5 mesi in acciaio, seguito da 8 in bottiglia. Dopo un colore giallo dorato chiaro, ha profumi di agrumi tra cui cedro con la sua scorza, mandarino, poi di spezie dal pepe bianco alla vaniglia, allo zenzero, poi a chiudere una sensazione di caprifoglio, di mentuccia. magistralmente legati tra loro ne fanno un vino dalla esemplare raffinatezza. Al sorso ha una decisa freschezza, sapidità, con un lungo finale gradevolmente speziato in cui si percepisce netto un ricordo di zenzero fresco e vaniglia.
Tenuta Luisa – La Tenuta Luisa è una realtà vitivinicola che si trova a Corona, piccola frazione di Mariano del Friuli, nel cuore della DOC Isonzo. Vanta una storia lunga quasi 100 anni dal momento che i primi cinque ettari di vigneto sono stati acquistati da Francesco Luisa nel lontano 1927. Il testimone è passato poi al figlio Delciso, fino ad arrivare al nipote Eddi Luisa che a soli tredici anni comincia a dedicarsi alla tenuta trasformandola in una azienda moderna, conosciuta e apprezzata per i suoi vini intensi, complessi, di grande equilibrio ed eleganza. Oggi conta 110 ettari coltivati a vite, tutti di proprietà. È guidata dai due fratelli Michele, enologo, che si occupa della cantina e della produzione dei vini, e Davide, agronomo, che si occupa della gestione dei vigneti e della qualità della materia prima, con la quinta generazione che inizia ad affacciarsi al mondo del vino.
Abbiamo scelto dalla loro gamma superiore I Ferretti Desiderium Venezia Giulia Bianco Igt 2021, cuvée di Chardonnay, Friulano e Sauvignon, prodotto dai vigneti storici poco produttivi, ma che conferiscono un’ottima qualità alle uve. La vinificazione dopo una macerazione pellicolare a freddo, una decantazione statica a freddo, vede la fermentazione per lo Chardonnay in tonneaux da 500 litri con un affinamento in legno per 8 mesi, mentre il Friulano e il Sauvignon svolgono la fermentazione in acciaio per 12 giorni circa, con una successiva permanenza sulle fecce nobili per 10 mesi. Dopo l’assemblaggio delle tre varietà, il vino viene affinato in acciaio per 3 mesi e per ulteriori 2 in bottiglia. Dopo un colore giallo paglierino con riflessi dorati, ha un naso complesso che apre con note agrumate, lievi sfumature di vaniglia, grazie allo Chardonnay, seguite da fiori bianchi, frutta a polpa bianca, un tocco di mandorla dato dal Friulano. In bocca ha struttura, raffinatezza ed eleganza al tempo stesso, è decisamente fresco, sapido, armonico, persistente, con nel retrogusto agrumi, frutta, un accenno di mandorla.