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Da piazza dalla Scala a piedi si arriva in un attimo a The Manzoni MilanoTom Dixon. (foto 2) Insegna inglese, se si vuole. Tom Dixon è il designer del Design Research Studio di Londra che ha voluto e progettato questa location dallo stile britannico, un ristorante arredato con elementi di acciaio, ottone, pietra lavica, marmo capace di comunicare sensazioni di grezzo, di naturale.

Il locale, 100 coperti, si sviluppa in profondità (foto 3) sino ad arrivare all’ampia cucina a vista (foto 4) diretta da Davide Figliolini, chef con esperienza internazionale.  La composizione della carta è sostanzialmente italiana, con qualche piatto milanese, e comprende alcune preparazioni internazionali. In cantina non mancano buone referenze.

Veniamo alla cucina di The Manzoni Milano.

Il polpo passato alla piastra o al forno è un piatto da anni onnipresente nella ristorazione perché non ha ancora smesso di piacere. Ci piace provarlo anche perché ci permette di capire le differenti interpretazione di questa portata da ristorante a ristorante, da cuoco a cuoco. A The Manzoni Milano abbiamo provato il polpo croccante e crema di patate fumé (foto 5) che non poteva passare inosservato perché è raro trovare un’esecuzione così vicina alla perfezione. Lo spessore dei tentacoli ci ha permesso di “affondare i denti” così non solo da far felice il gusto, ma di apprezzarne la consistenza tenera senza essere troppo cedevole e la croccantezza superficiale data da una sottilissima crosticina che avvolge uniformemente i tentacoli.

Se la compattezza del polpo era perfetta altrettanto dobbiamo dire della consistenza dei mezzi paccheri di Gragnano “Gerardo di Nola” aglio, olio, peperoncino, pomodori secchi e calamari (foto 1). In genere se una pasta non è scotta né troppo al dente, si sorvola sulla consistenza per arrivare subito al sapore che ci permette di capire se ci piace e quanto. In questo caso è la consistenza che ci fa indugiare prima di valutare il sapore. Consistenza al dente senza oscillare tra il troppo e il troppo poco, sicuramente grazie alla cronometrica precisione della cottura, unita alla eccellente qualità della pasta. La salsa ha una nota piccante molto contenuta (in stile più inglese che mediterraneo) e il calamaro è la nota che lo chef ha aggiunto a un piatto della tradizione così da farne una portata d’autore.

Il maialino bieta e salsa di fragole (foto 6) è una portata molto armonica: la nota fruttata è discreta e nell’elaborazione della salsa lo chef utilizza tecniche di fermentazione; la carne è piastrata dopo la cottura al vapore da un solo lato in modo enfatizzare il contrasto tra consistenza tenera e croccantezza. Se avesse senso confrontare questo piatto con il polpo diremmo che quest’ultimo ci ha maggiormente emozionato.

Per dessert il tiramisù artigianale (foto 7).

Per concludere abbiamo sperimentato una cucina lineare, più che collaudata che non rinuncia alla ricerca. Lo chef mette in gioco il proprio talento e non abbiamo incontrato nessun piatto banale o scontato. Cotture al vapore e a bassa temperatura si uniscono alle altre, conoscenza dei fermentati, Davide Figliolini si muove con grande disinvoltura, ma anche con l’umiltà e la professionalità di chi è disposto a mettersi in discussione.

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