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Dopo un anno siamo tornati a Incontro Restaurant & Drink, a Milano, di cui abbiamo scritto qui, e abbiamo trovato, in riferimento ai piatti provati, una cucina che, pur mantenendo lo stesso stile, in cui è sempre evidente la centralità del piatto, è per certi versi cambiata. Lo scorso anno avevamo apprezzato l’equilibrio delle portate anche in quelle in cui lo chef, Ivan Mancin, utilizzava molti ingredienti, e che, talvolta, richiedevano di essere interpretate. Ora, invece, i piatti comunicano in modo più chiaro la propria narrazione: vogliono essere immediati, prodotti con solide tecniche culinarie e anche quando implicano una certa complessità, non sono di complicata lettura.

Il menu

L’ostrica fritta servita con una maionese al pomodoro e crema di basilico (foto 1), ci porta ad Auguste Escoffier dove nella sua Guida alla Grande Cucina, nel capitolo dedicato agli hors-d’œvre scrive “ciò che queste preparazioni non hanno in termini di quantità, dovrà essere compensato da un’estrema finezza di gusto, e di una cura nella disposizione tale da renderle irreprensibili”. Citazione che trova piena corrispondenza con questa prima portata per finezza di gusto e diposizione nel piatto. La croccantezza superficiale dell’ostrica  protegge la morbidezza succosa del frutto e il gusto salino è levigato dalla dolcezza della maionese e dal tocco morbido e profumato della salsa al basilico. Da aggiungere che il fritto è di leggerezza aerea.

Vi sono preparazioni che includono numerosi ingredienti e altre, invece, che utilizzano sostanzialmente un solo ingrediente mostrandone tutte le sfaccettature. Ed è, questo, il caso dei Cappellacci ripieni di funghi porcini, brodo di parmigiano, crudité di fungo e fungo fritto servito con polvere di porcino (foto 2). Il porcino è il protagonista, cucinato in più modi, e ogni sapore ha una propria consistenza: avvolgente e cedevole nella farcia della pasta; delicato e croccante nel fritto; umami e morbido nella cottura in padella; minerale e tenero in crudità, con la sapida delicatezza del brodo a fare da sfondo.

Per introdurre la portata successiva vorremmo sottolineare che mentre la cultura occidentale focalizza precipuamente il gusto e pertanto enfatizza il sapore dei cibi con soffritti, intingoli, fondi, quella giapponese predilige la consistenza. Il sashimi, per esempio, ha una sola salsa perché vuole evidenziare non tanto i sapori, ma le diverse consistenze dei singoli tagli. Veniamo al trancio di ventresca di tonno mediterraneo scottato accompagnato da un chutney di lampone con cipolla caramellata e aceto balsamico (foto 3). La ventresca è la parte più pregiata e in questo piatto se ne valorizza la consistenza: la cottura, quanto basta, lascia tutta la tensione “croccante” della polpa che la cottura prolungata vanificherebbe, ma al tempo stesso la texture acquista più tono rispetto a quella del pesce crudo. Il risultato è un piatto tecnicamente perfetto. La presenza del chutney conferisce un tocco agrodolce.

Come i funghi trovano il loro trionfo nei cappellacci, un altro ingrediente lo rivela nel Sorbetto al lampone, semifreddo al lampone, lampone fresco, lampone croccante e salsa di lampone (foto 4). Anche in questo piatto al diversificarsi dei sapori del lampone si differenziano le consistenze dove la temperatura negativa gioca un ruolo fondamentale.

Conclusione

Riteniamo che lo chef, per quanto abbiamo sperimentato, abbia sostenuto nell’ultimo anno un lavoro di ricerca sugli ingredienti  smussando, limando, sottraendo, così da scongiurare qualsiasi ridondanza. Ciò ha portato a piatti agili, ma non per questo superficiali, in quanto quella di Ivan Mancin è una cucina complessa, ma dotata di un linguaggio chiaro, definito, compiuto. Va inoltre riconosciuta la professionalirà di Federico Anibaldi che gestisce la sala.

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