Un incontro con Massimo Lentsch, fondatore di questa cantina a Lipari, ci ha decisamente avvinto con i suoi racconti. Riassaggiare il Bianco Pomice e degustare per la prima volta altri quattro vini di Tenuta di Castellaro, abbinati ai piatti di Uovo di Seppia Milano, ha reso la serata speciale.
Il fascino selvaggio di questo angolo di mondo, incontaminato, remoto e magnetico ha stregato la famiglia bergamasca Lentsch, che nel 2005 ha deciso di intraprendere un grande progetto vitivinicolo e paesaggistico: preservare e perpetuare la tradizione vitivinicola millenaria, salvaguardando e riproponendo così antiche varietà autoctone presenti sull’isola, a partire dalla Malvasia delle Lipari e dal Corinto Nero, coltivati ad alberello, entrambi puri estratti del territorio isolano e dei suoi suoli vulcanici.
Così è nata Tenuta di Castellaro, una realtà unica e articolata, che vive da sempre un approccio naturale alla viticoltura, utilizzando protocolli biologici e vegan. Il suo progetto enologico, strettamente legato all’ambito storico e paesaggistico, vede attualmente 24 ettari vitati per circa 70mila bottiglie l’anno e una moderna cantina all’avanguardia, per la vinificazione delle uve.
“Il nostro – osserva il produttore Massimo Lentsch – è un progetto enologico e di valorizzazione di un intero terroir attraverso il quale si cerca la sintesi perfetta tra territorio, vigne e persone. Il presente ci consente di utilizzare nuove conoscenze in campo tecnologico e scientifico che consentono di operare una viticoltura sostenibile e consapevole, che abbia cura non soltanto di assicurare un prodotto salubre, ma anche di farlo in maniera etica, salvaguardando quello che ci circonda, senza presunzione, non perdendo mai la capacità di stupirci ogni giorno di fronte alla potenza e la poesia della natura”.
L’azienda si trova sull’isola di Lipari, la più grande delle isole Eolie, situata nel settore centrale dell’arcipelago vulcanico, immediatamente a nord di Vulcano e a sud di Salina. Lipari è costituita dalla sommità emersa di un vulcano alto 1600 metri, con un sistema vulcanico esplosivo tuttora attivo, anche se quiescente.
Massimo Lentsch, foto di Benedetto Tarantino
La coltivazione delle viti a Lipari richiede uno sforzo significativo a causa delle caratteristiche morfologiche del territorio. Infatti i vigneti di Tenuta di Castellaro sono costituiti da piccoli appezzamenti localizzati tra il mare e il pendio, dove l’uomo e la vite fronteggiano una natura aspra dando vita a una produzione di nicchia con caratteristiche uniche.
Foto di Benedetto Tarantino
Ci sembra importante specificare che i suoli vulcanici non sono tutti uguali, per distinguerli occorre cominciare a valutarne la composizione, per determinare se sono costituiti da lave, roccia, oppure da ceneri, sabbie e argille. Le condizioni pedoclimatiche dell’isola sono molto particolari. Il clima è temperato (la temperatura non scende mai sotto i 10 gradi centigradi e non supera mai i 30 gradi), ma durante la notte le temperature si abbassano e i venti salmastri sferzano l’isola, creando una notevole escursione termica.
“Quello di cui siamo certi – sottolinea Alessandro Zanutta, il consulente agronomico – è che il terroir è unico e non si può replicare, di conseguenza i vini prodotti in questo preciso angolo di mondo resteranno irripetibili”.
Le pomici, solitamente di colore chiaro, presentano una struttura fisica finemente porosa, con presenza di ossidi di metallo (di alluminio, titanio, ferro, manganese e altri) venendo a costituire un ottimo scheletro drenante con buone caratteristiche di ritenzione idrica e di interscambio degli elementi chimici coinvolti nella nutrizione della vite. I blocchi scuri di ossidiana vicini alle vigne hanno il potere di attirare i raggi solari. A questo si aggiunge il clima caldo, secco e ventilato che regala un perfetto grado zuccherino e un’aromaticità che permette al passito della Tenuta di Castellaro di esprimere al meglio l’intensità di questo luogo.
I loro vigneti si trovano nella Piana di Castellaro, a Nord Ovest, dove dimorano su terrazzamenti che arrivano fino a circa 350 metri e nella Vigna Cappero, a Sud Est dell’isola, a soli 80 mt sul livello del mare, dove i filari delle vigne di Malvasia delle Lipari arrivano quasi a toccare l’acqua.
La seconda è un classico esempio di viticoltura eroica dove 7000 metri quadrati di Malvasia delle Lipari e Corinto, perfettamente bilanciati per la produzione della DOC (95% Malvasia delle Lipari e 5% Corinto) sono coltivati su terrazzamenti realizzati con pietra lavica, che sorreggono un terreno di sabbia e frammenti a base pomicea.
Lentsch ha voluto accanto a sè i consulenti della ditta francese Pépinières Guillame, specializzata sin dal 1895 nella produzione di piante di vite di qualità, condotta nei terreni coltivati a vite delle isole eoliane, con una selezione massale di 2 varietali indigeni, ovvero la Malvasia delle Lipari e il Corinto Nero.
Le piante sono state riprodotte partendo dalle marze (tralci di vite), scelte in un vigneto con DNA diversi, allo scopo di mantenere la massima variabilità genetica all’interno della stessa varietà di vite, con piante dalle diverse caratteristiche fisiologiche e produttive. Grazie a questa opera di recupero la tenuta può avvalersi del primato nazionale della coltivazione di Corinto (una varietà dalla resa molto bassa e sfidante nella gestione agronomica). Per la Malvasia, lo scopo principale è stata la ricerca di piante con grappoli spargoli, acini piccoli e maggiore concentrazione zuccherina; per il Corinto, la ricerca di piante con grappoli dagli acini piccolissimi e maggiore concentrazione polifenolica. Il lavoro sui nuovi cloni di entrambe le varietà ha avuto come finalità l’eliminazione delle principali malattie virali della vite.
Foto di Benedetto Tarantino
È stato scelto di mantenere la forma di allevamento ad alberello, che ha origini molto antiche ed è fortemente associata alla consuetudine del luogo, tradizionalmente impostata sui piccoli appezzamenti.
“Il suolo di origine vulcanica sul quale dimorano le colture – spiega Zanutta – è una risorsa ineguagliabile. I suoli vulcanici hanno composizioni estremamente eterogenee. Non variano solo a seconda dell’origine del vulcano, dipendono anche dall’età del materiale eruttato e dal tempo che questo impiega per solidificarsi. Il terreno su cui dimorano i vigneti aziendali è fertile, composto da cenere vulcanica e lapilli (ricchi in microelementi e minerali), pomice, ossidiana e caolinite”.
I vini biologici di Tenuta di Castellaro, che “nascono dal terroir vulcanico e al contempo mediterraneo di Lipari, e da vitigni autoctoni delle Isole Eolie – spiega l’enologo Emiliano Falsini – in particolare Corinto Nero e Malvasia delle Lipari, a cui rendiamo tributo nei blend prodotti”.
Nel processo di vinificazione esaltiamo le caratteristiche del frutto che arriva dal vigneto integro, sano e ricco di tutti quei componenti qualitativi tipici di una corretta coltivazione della vite ad alberello.
A Tenuta di Castellaro la “terra diventa vino”, al fine di far rivivere l’affascinante complessità e la forza ancestrale delle terre vulcaniche da cui nascono e a cui si ispirano nei nomi, a conferma di quel legame magico e indissolubile tra terroir e gusto.
“I vini di Tenuta di Castellaro – sottolinea l’enologo Falsini – sono freschi, eleganti, minerali, con gradazione alcolica non eccessiva, hanno buona acidità e sapidità. Sono figli di un’agricoltura biologica, di una viticultura eroica e tutta manuale. Sono autoctoni, in un contesto unico. Sono specchio della Sicilia, e dunque mai banali”.
“In cantina – conclude – scegliamo di essere poco interventisti nei vari passaggi produttivi; tuttavia, la ricerca è sempre quella di una costanza qualitativa, al fine di restituire caratteristiche organolettiche ben definite”.
Prima di presentarvi tre vini iconici della Tenuta, vogliamo sottolineare la loro proposta per Dormire in vigna, con una proposta di nicchia, un lusso riservato e rispettoso. “Abbiamo trasformato tre antichi ruderi, completamente immersi nei vigneti, in esclusive micro residenze dotate di ogni comfort e progettate con le più moderne tecnologie impiantistiche, nel rispetto della natura”, spiega Massimo Lentsch. Ecco quindi Casa Pomice, Casa Ossidiana e Casa Caolino: tre casette in vigna che permettono di godere di un’atmosfera rilassante in un paesaggio da sogno.
Bianco Pomice Terre Siciliane Bianco IGT 2023 – Il bianco di riferimento dell’azienda, presente fin dalla prima vendemmia del 2008. Blend di Malvasia delle Lipari (60%) e Carricante (40%), dopo un colore giallo scarico, con riflessi verdi, al naso ha sentori erbacei di macchia mediterranea, agrumi, poi note minerali e salmastre. Al palato ha struttura, eleganza, freschezza, sapidità e un’ottima persistenza. Il piatto in abbinamento è stato “Gnocco di seppia e carbone nero”.
Eúxenos Terre Siciliane Bianco IGT 2023 – La new entry della gamma aziendale vede ancora protagonista la Malvasia delle Lipari, ma in versione secca e macerata in anfora per poi riposare in bottiglia. Dopo un giallo paglierino carico con riflessi che virano sul dorato, al naso presenta un’intensa vivacità e sentori di pesca bianca matura, frutta candita, poi mandorle tostate seguite da timo ed erbe selvatiche, con note marine a chiudere. All’assaggio è pieno, fresco, elegante e vellutato, persistente con rimandi fruttati e delicatamente salmastri. Il piatto in abbinamento “Tortello di tumapersa & gambero rosso”.
Nero Ossidiana Terre Siciliane Rosso IGT 2021 – Il corrispettivo in rosso del Bianco Pomice, è anche lui presente sin dalla prima vendemmia. Il Corinto Nero è tagliato con un 10% di Nero d’Avola. La sua vinificazione in rosso, senza controllo della temperatura, avviene con una lunga macerazione del vino con le bucce e parte dei grappoli interi non diraspati. Dopo la svinatura, il travaso del vino in botti usate per lo svolgimento della malolattica, dove rimane per otto mesi circa, viene rimesso in acciaio. Dopo un colore rosso intenso, con sfumature violacee, ha al naso sentori di ciliegia e spezie che si mescolano alla nota salmastra tipica del Corinto nero, in una complessità olfattiva di grande fascino. Al palato è strutturato, dai tannini setosi equilibrati da freschezza, poi è sapido, elegante e persistente. Il piatto in abbinamento è stato “Pescato del giorno in finta brace”.
I piatti abbinati ai vini
Nelle foto di Giovanna Moldenhauer Gnocco di seppia e carbone nero e Pescato del giorno in finta brace.
La foto di apertura è di Benedetto Tarantino