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Waby: cucina fusion giapponese

Waby Restaurant si trova a due passi da piazza Gae Aulenti, in una traversa di Corso Como. Sorge cioè in un distretto definito modaiolo, crocevia di movida, spending, multicultura, business.

È una location di tono, elegante senza ostentazioni e al tempo stesso confortevole. Si sviluppa in tre sale dove legno, pietra, vetri, metalli e tessuti definiscono l’interior design e luci e ombre si alternano e si succedono.

Si è accolti con ospitalità orientale, gestualità elegante, discrezione, rispetto, garbo. La cucina si definisce fusion, con un forte orientamento nipponico e, coerentemente, la carta elenca sushi, sashimi, tempura, dim sum, carpacci e tartare. Le preparazioni sono realizzate con ingredienti di assoluta qualità, dal riso giapponese Thamanishiki al prosciutto iberico pata negra 5J. Se spesso un ristorante si identifica con il proprio chef, Waby è rappresentato da un’intera brigata depositaria di una conoscenza culinaria internazionale. Il giovane proprietario, Matteo Zhu, nato in Italia da genitori cinesi, dopo alcuni viaggi di ricerca della migliore offerta asiatica internazionale, tornato a Milano ha saputo dare vita a questa realtà che si colloca nell’alta fascia ristorativa.

In genere il pranzo della pausa lavorativa non può protrarsi più di tanto, al contrario della cena che si consuma senza fretta. Considerato che Waby opera in un quartiere con molti uffici e altre attività terziarie, ha formulato una proposta Business lunch. Abbiamo pertanto esplorato questo ambito, che in un ristorante ispirato alla cucina giapponese si concreta nel bento box. Abbiamo inoltre provato qualche altro piatto per poter fornire una visione più ampia di un pranzo tipo.

Com’è noto, questi sono costituiti da una portata principale, ossia il piatto forte, accompagnata da altre preparazioni tra le quali riso e zuppa di miso. In pratica è condensato nel caratteristico box laccato un intero menu. Il corrispondente del bento da Waby è il donburi, ossia una grande ciotola. Tra questi:

Hoseki Don. 15 pezzi dei tesori più freschi del mare, selezionati giornalmente, serviti su letto di riso, zenzero, wasabi e salsa di soia:

Lobster Moriawase. Sashimi di astice, gambero rosso di Mazara del Vallo , capasanta, ikura, scampi su letto di riso, wasabi e salsa di soia;

Tonkatsu di Waby. Cotoletta di maiale e misticanza d’oriente, uovo poché, accompagnato da riso bianco e zuppa di miso;

Una-Ju. Anguilla cotta su carbonella e finitura al vapore, guiarnizione di zukemono di cetriolo, serviti su letto di riso;

Miso Cod. Carbonaro nero d’Alaska marinato nel miso avvolto in kataifi, astice, ikura, serviti su letto di riso;

Wagyu Don. Manzo di wagyu scottato su carbonella e accompagnato da verdure di stagione oltre riso bianco, con kizami wasabi e salsa di soia;

Wagyu Steak. Tagliata di Wagyu cotta su carbonella, servita con riso bianco, zuppa di miso, crocchetta di wagyu, zucchine marinate e uovo poché.

Noi abbiamo scelto la Wagyu Steak. La carne utilizzata, la Wagyu A5 , è la più pregiata. La specifica A5 è il massimo punteggio qualitativo che una carne bovina premium possa ottenere, ed è prerogativa dei migliori allevamenti giapponesi (della wagyu abbiamo scritto anche qui e qui).

La caratteristica marezzatura definisce questa carne e il grasso distribuito nei tessuti fondendo per effetto del calore conferisce morbidezza. La cottura avviene utilizzando la robata, che significa focolare, ed è una tecnica di cucina giapponese a carbone che si effettua utilizzando un particolare piccolo barbecue. Si tratta di una tradizione introdotta dai pescatori che utilizzavano scatole di carboni ardenti per scaldare il cibo. La Steak, cosparsa di sale Maldon, è passata quanto basta sulla griglia in modo da cuocerla mantenendola internante semicruda. È quindi tagliata e disposta su letto di gambi di cipollotto fritto: il risultato è un piato inarrivabile per morbidezza e per intensità di sapore.

L’uovo poché qui proposto in realtà non cuoce, sgusciato, in un turbine di acqua bollente, bensì intero, cioè con il guscio, a 60 °C per 20 minuti. Con questa cottura a bassa temperatura l’albume si rivela soffice, cremoso e non rassoda, come, invece, nel caso dell’uovo poché, o in camicia ed è da assaporare al cucchiaio per apprezzarne la dolcezza.

La zuppa di miso non ci stupiremmo che, per sapore e profumo, fosse preparata utilizzando un kioke miso ossia un miso artigianale, di cui abbiamo scritto qui. La zuppa è arricchita con alghe wakame e dadini di tofu e sostiene il côté umami del donburi rinfrescato dalle note agre della zucchina marinata. La crocchetta è una piacevole interpretazione wagyu che rende ancora più convincente la portata.

Ma vorremmo ancora dire di alcune altre portate per fornire un quadro maggiormente esaustivo della cucina a pranzo di questo ristorante.

I Samurai Stick: sono code di gambero private di carapace e pulite, arricchite con edamame e avvolte da un velo di pasta ottenuta con acqua e farina. Sono quindi fritte in modo che la pasta diventi croccante mantenendo morbido il gambero, serviti con una salsa leggermente piccante, perfetti accompagnati da un sorso della bevanda preferita.

Contraddistinguono maggiormente il locale le Millefoglie di capasanta, jamon iberico, jalapeno coriandolo, salsa di miso yuzu con dressing al coriandolo. La capasanta servita cruda è di rara bontà. Ha una consistenza più compatta degli altri frutti di mare bivalvi, e possiede un sapore delicatamente “dolce”. Pertanto in pairing con il pata negra dà vita a un mix in cui le note sapide (umami) del prosciutto si intessono con quelle delicate del frutto di mare. Completano il corredo gustativo le note vegetali del peperone e quelle agrumate della salsa yuzu. E’ un piatto complesso, fusion da “centellinare”.

Gli involtini di salmone con uova di salmone e asparagi in salsa, sono un piatto di per sé semplice, ma così accuratamente preparato, allestito e costruito da farne un esempio dello stile del ristorante e come tale andrebbe provato.

La delicatezza del branzino si esprime al meglio nel Suzuki ceviche, affettato a carpaccio, condito con salsa di agrumi. È un ceviche decisamente nikkei lontano dalle lunghe macerazioni nel lime della tradizione peruviana. Come descriverlo? È agile, fresco, leggero, servito con salsa capace di sostenere, anziché coprire, il sapor gentile del pesce vivacizzato dalle nuance agrumate. La testura è tenera e fondente.

Carta delle bevande con circa 120 etichette di vini sostanzialmente italiani con una selezione di champagne, una trentina le etichette di sake (ne abbiamo parlato qui) che comprendono anche un magnum.

La degustazione di questi piatti ci porta a considerate come Waby abbia saputo coniugare velocità e qualità. Non è un dato scontato in quanto talvolta si accede ai business lunch per necessità, più che per piacere, perché non sempre danno piena soddisfazione. Rispetto a quanto abbiamo provato i piatti sono tutti ineccepibili e dove l’estro, la creatività della brigata ha potuto maggiormente esprimersi le portate diventano uniche ed emozionanti. E’ una cucina raffinata, di grande equilibrio, sempre sussurrata e anche là dove i sapori si intensifica, non è mai chiassosa.

Aggiungeremmo che i donburi mostrano sempre un equilibrio tra proteine e carboidrati così da rivelarsi non solo gastronomicamente appetibili, ma anche dieteticamente calibrati.

Di questo Autore